1. LE COMUNITA' VIRTUALI

1.1 La rete da medium di comunicazione a luogo di comunità

1.1.1 La nascita della rete

La Rete telematica mondiale nasce all'inizio degli anni Sessanta, per un fine ben preciso e molto diverso dagli scopi per cui viene attualmente utilizzata: infatti, è stata ideata per risolvere il problema dell'inaffidabilità delle reti di comunicazione esistenti, in caso di un attacco nucleare. Sono gli anni della "guerra fredda", della rivalità tra Stati Uniti ed Unione Sovietica per la conquista dello spazio e per la superiorità tecnologica in ambito aerospaziale.

Durante la crisi di Cuba, momento in cui si prospetta altamente probabile la possibilità di una guerra nucleare, gli americani si rendono conto delle carenze del loro sistema difensivo e in particolare prendono atto del fatto che le centrali di comando e di controllo dell'esercito sono situate in strutture facilmente individuabili e che pertanto possono essere distrutte dal nemico. Inoltre, in caso di attacco, la comunicazione si sarebbe interrotta a causa del meccanismo di trasmissione delle informazioni, il quale prevede che se viene interrotto il canale diretto di comunicazione fra due punti, non ci sia nessun altro punto attraverso cui l'informazione possa passare.

Si pensa così di favorire la circolazione di informazioni e messaggi, suddivisi in singoli pacchetti, attraverso percorsi casuali in un numero immenso di nodi di comunicazione.

La particolarità di questi strumenti per la trasmissione di dati è quella di fare circolare pacchetti di informazione digitale liberamente all'interno di una rete di computer, in modo che ciascun pacchetto viaggi in maniera libera: se uno o più nodi della rete venissero distrutti, il pacchetto di dati potrebbe deviare e viaggiare attraverso altri nodi ancora attivi. Ciò che di innovativo apporta questa rete è il fatto che non vi è nessun punto centrale: ciascun nodo del network può operare come punto centrale e quindi i messaggi possono seguire qualsiasi strada. In tal senso, la Rete può essere considerata un sistema di comunicazione "democratico" (Festini, 2000).

La prima rete di telecomunicazioni digitali, Arpanet, nasce, dunque, per scopi principalmente legati all'ambito militare, ad opera di numerosi ricercatori fra cui Joseph C. R. Licklider, Robert Taylor e Paul Baran.

Il fine iniziale di Arpanet, tuttavia, si trasforma ben presto in qualcosa di diverso. Al suo interno, infatti, nascono e si moltiplicano, già dagli anni settanta, messaggi di posta elettronica e bacheche elettroniche di annunci su temi ben precisi.

1.1.2 Le prime comunità virtuali

Un primo esempio di comunità virtuale è dato dalle conferenze Science Fiction-Lovers e Human-Net, promosse da ricercatori interessati a temi di fantascienza.

Nel 1978, nascono i primi abbozzi di comunità virtuali basate su un sistema semplice, che godrà di grande successo: si tratta delle BBS online (online Bulletin Board Services), una rete di bacheche elettroniche che permettono discussioni collettive riguardanti qualsiasi argomento.

Negli stessi anni, vengono create aggregazioni virtuali definite “antagoniste” rispetto al sistema BBS, quali il progetto di CommuniTree e di Fido Net.

CommuniTree
CommuniTree viene fondata in California nel 1978 da un gruppo di programmatori. Si tratta di un tentativo di costruire, sulla base delle teorie di McLuhan, un media trasformativo, ossia un media che sia in grado, attraverso la propria struttura tecnologica, di creare una nuova “protesi comunicativa” che estenda lo spazio della socialità umana. CommuniTree presenta una serie di caratteristiche innovative:

  1. Si fonda sulla metafora dell’albero che si ramifica in modo casuale. “Ogni ramo dell’albero doveva rappresentare una conferenza indipendente, che si sviluppava naturalmente a partire dal messaggio iniziale e attraverso i messaggi successivi che venivano aggiunti al primo.” (Stone, 1995, p. 128);
  2. Anticipa la struttura di un ipertesto collettivo, poiché la continuità dei messaggi dipendeva dall’interesse della conversazione;
  3. Rappresenta forse la prima tappa della trasformazione della Rete in un luogo di comunità: i suoi ideatori ritengono che essa costituisca una comunità virtuale, che promette trasformazioni radicali della società e l'emergere di nuove forme sociali.

I partecipanti alle conferenze di CommuniTree non si considerano dei semplici lettori di messaggi, ma agenti di un nuovo tipo di esperimento sociale. Essi vedono il computer come una finestra aperta su uno spazio sociale.

CommuniTree ha, però, una breve durata. Nel 1982, con l'introduzione dei computer nelle scuole superiori, alcuni studenti si introducono nel sistema di CommuniTree e lo inondano di messaggi insultanti, impossibili da controllare al loro arrivo e difficili da cancellare. Inoltre, un gruppo di hacker attenta al suo sistema quando scopre alcuni bug presenti nel programma. In pochi mesi l'intero sistema va in "crash" e CommuniTree è costretta a chiudere, a causa di ciò che uno dei partecipanti ha definito "le conseguenze della libertà di espressione" (Stone, 1995, p. 129).

FidoNet
La storia di Fido Net inizia nel 1983: questo sistema nasce come strumento di comunicazione e comunità strutturalmente alternativa. Si vuole costruire uno spazio comunicativo libero, una rete di bacheche elettroniche in grado di connettere a basso costo gli Usa e il resto del mondo. La vera novità consiste nell’intuizione di uno dei fondatori, Jennings, di mettere in comunicazione i singoli nodi della Rete attraverso telefonate interurbane notturne che permettono di scambiare messaggi fra comunità anche molto distanti fra loro. Si tratta di quella che è stata definita l'ora continentale fido. Tra l'una e le due di notte, i sistemi di bacheche elettroniche di Fido Net vengono chiusi agli utenti e connessi tra loro; ogni bacheca elettronica dispone infatti di un numero e la rete smista i messaggi in base ai numeri del nodo.

1.1.3. La Rete come luogo di comunità

Nel 1991 la rete amatoriale delle BBS converge con Internet, al cui interno già esisteva un sistema di bacheche elettroniche, Usenet1 . L’interconnessione delle due reti permette agli utenti delle BBS di estendere la propria azione su scala mondiale.
Accanto a questi tipi di comunità virtuali, predecessori degli attuali newsgroup, nascono nel 1979 in Inghilterra il primo MUD (Multi User Dungeon), in cui lo spirito di comunità è di tipo ludico e nel 1988 IRC (Internet Relay Chat), un sistema di canali e stanze dedicate alla chat sincrona.

La Rete diventa, quindi, il luogo di nuove comunità, nello stesso modo in cui, nel celebre romanzo Luce virtuale (1984) di William Gibson, uno dei “padri” della letteratura cyberpunk, il ponte di San Francisco, una struttura civile creata con la funzione di permettere l'accesso alla città, diviene il luogo di residenza di una popolazione eterogenea che vi si insedia.

“L’integrità della sua campata era rigorosa quanto il programma moderno stesso, ma intorno a esso era cresciuta un’altra realtà, che seguiva una sua logica. Questo era accaduto un pezzo per volta, senza seguire alcun piano, utilizzando ogni tecnica e ogni materiale immaginabile. Il risultato era qualcosa di amorfo e di sorprendentemente organico. [...] Le sue ossa d’acciaio si perdevano tra un accumulo di sogni: laboratori di tatuaggi, sale giochi, negozietti mal illuminati pieni di riviste in decomposizione, venditori di fuochi artificiali, di esche, agenzie di scommesse, chioschi di sushi, banchi di pegni non autorizzati, erboristerie, barbieri. Sogni di commercio, situati di solito sul livello che un tempo aveva trasportato il traffico veicolare; al di sopra di questi, fin sulla stessa cima delle torri che reggevano i cavi si arrampicava una baraccopoli sospesa, con la sua popolazione non censita e le sue zone di fantasia più privata.” (Gibson, 1994, pp. 590-591).

Il mondo telematico viene rappresentato nei romanzi di Gibson come un’enorme metropoli in cui dati, contenuti e informazioni assumono la forma di ponti, fiumi, palazzi, strade o grattacieli.

La struttura di Internet, in effetti, richiama decisamente quella immaginata da Gibson, in quanto le modalità grafiche per accedere alle informazioni, ai servizi, alle “piazze” e ai “viali” di Internet sono quelle della creazione sulla Rete di uno spazio virtuale.

La Rete si trasforma in uno spazio che permette la creazione di nuove relazioni comunitarie. Da luogo della comunicazione a luogo della comunità, vero e proprio spazio virtuale abitabile.

Tale passaggio si completa con la progressiva trasformazione di Arpanet in Internet, che è stata possibile anche grazie all’intervento e ai finanziamenti di multinazionali americane, istituti di ricerca, università e college, che avevano compreso l’importanza delle reti telematiche come risorsa intellettuale.

La Rete costituisce una “metafora vivente”. Essa è composta da isole di informazioni tra cui l’utente si sposta, compie un viaggio, “naviga”: il termine “cyberspazio” deriva dalla fusione del sostantivo “spazio” col verbo greco “kybernàn” che significa “condurre una nave”, navigare per l’appunto (Diodato, Ferri, 1998, p. 1).

Gli strumenti tuttora utilizzati per navigare in Rete sembrano essere “vettori che conducono in luoghi virtuali, in spazi polidimensionali nei quali si sosta e si abita” (Ferri, 1999, p. 64). Gli stessi nomi dei browser, Explorer, Navigator, rimandano alla metafora di un viaggio verso una meta da raggiungere, verso siti2, luoghi in cui è possibile socializzare, leggere, studiare, scambiare informazioni. Tutte queste azioni possono essere percepite dal soggetto come compiute all'interno di uno "spazio psicologico". Quando una persona accende il proprio computer, avvia un programma, scrive una email, o accede ad un newsgroup o ad un qualsiasi servizio online, sperimenta, consciamente o inconsciamente, la sensazione di entrare in un luogo o in uno spazio ricco di significati e propositi. Molti utilizzatori di Internet descrivono l'esperienza di connessione alla Rete come un viaggio. Le metafore spaziali sono comuni nell'universo informatico: basti pensare ai termini "mondi virtuali", "domini" e "stanze".

Quasi ogni gesto della vita reale ha il suo doppio nello spazio, nella comunità della Rete. Partecipare ad una comunità virtuale, ad una chat, o ad una conversazione di gruppo in Rete, dà modo di sperimentare un’esperienza di natura comunitaria in un nuovo “spazio abitativo”. Ad un livello psicologico più profondo, spesso gli individui descrivono i loro computer come un'estensione delle loro menti e personalità, uno spazio che riflette i loro gusti, le loro attitudini e i loro interessi (Suler, 2001).

Suler afferma che in termini psicoanalitici si potrebbe definire il cyberspazio come un tipo di "spazio transizionale", cioè un'estensione del mondo intrapsichico dell'individuo, una zona intermedia tra sé ed altro da sé.

L’identificazione della Rete come spazio comunitario da abitare deriva dalle modalità stesse di connessione in Rete, che prevedono:

Entrare in Rete equivale, dunque, all’ingresso in una comunità associata, dotata di proprie regole di appartenenza, talvolta esplicitate tramite le FAQ (Frequently Asked Questions)4 e di un’etica di Rete detta Netiquette5.

La metafora del cyberspazio in quanto luogo ha portato a considerare le reti come luoghi d’incontro, piazze virtuali e conviviali, luoghi che riproducono gli spazi in cui sono state tradizionalmente sviluppate le comunità: i cosiddetti “terzi spazi” (Oldenburg, 1989), essenziali nella vita delle persone accanto ai luoghi in cui si vive e a quelli in cui si lavora. La Rete è attualmente percepita come uno spazio immenso, continuamente in estensione, e contemporaneamente come un luogo ricco di risorse, tanto che tali caratteristiche causano nei navigatori uno “sbilanciamento continuo tra onnipotenza e impotenza” (Longo, 2001, p. 135). Tale sensazione di onnipotenza nasce dalla possibilità di poter raggiungere qualsiasi contenuto, luogo o persona nel mondo attraverso un clic.

Nel corso del tempo la Rete si è modificata, ampliata, così come è aumentato il numero di persone in grado di accedervi. Però non bisogna in ogni caso dimenticare che la storia delle comunicazioni digitali è opera di diversi agenti, che ne hanno permesso lo sviluppo e l’evoluzione: centri di ricerca finanziati dal Pentagono e dal governo statunitense, ricercatori, studiosi, università, ma anche anonimi programmatori.

Ferri (1999, p. 60) afferma che: “la storia della Rete è la storia della paura della “guerra nucleare” e insieme l’utopia della comunicazione alternativa, la storia della difesa territoriale degli USA e insieme quella della difesa dei diritti delle comunità alternative: solo avendo presente questo fatto possono essere comprese le caratteristiche peculiari della singolarissima comunità virtuale rappresentata dal World Wide Web”.


1.2. Il concetto di comunità

1.2.1. Tönnies

A partire dal 1887, anno in cui Ferdinand Tönnies pubblica la sua opera “Gemeinschaft und Gesellschaft” (“Comunità e società”), numerosi sociologi e filosofi si sono occupati della definizione del concetto di comunità. Tönnies contrappone il concetto di comunità a quello di società, affermando che nella comunità gli individui sono legati da una “volontà naturale”, che stabilisce rapporti affettivi di collaborazione e di amore, improntati a intimità, riconoscenza, condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi, ricordi ed esperienze comuni. Le persone che fanno parte della comunità sono unite da vincoli di sangue, come la famiglia, di luogo, come il vicinato, e di spirito, come i rapporti amicali. Nelle comunità, gli uomini si sentono saldamente e permanentemente uniti da fattori di similitudine, da elementi di comunanza e condivisione. Al contrario, nella società le relazioni sono basate sulla “volontà razionale”, finalizzata al perseguimento di obiettivi specifici. La società è, dunque, una "costruzione artificiale”, nella quale gli individui vivono isolati, in tensione con gli altri. Il rapporto su cui si basa la società è costituito dallo scambio, che viene mediato dal denaro. Nella società dominano competizione, neutralità affettiva e orientamento all’interesse privato, laddove nella comunità imperano solidarietà, affettività e orientamento all’interesse pubblico.

La comunità è costituita dunque da soggetti che si rapportano in modo coeso ed unitario alla realtà esterna, mentre la società è composta da individui o gruppi che si rapportano agli altri con un fine personale da raggiungere.
Pertanto citando Tönnies: “Tutto ciò che è fiducioso, intimo, vivente esclusivamente insieme è compreso come vita in comunità. La società è ciò che è pubblico, è il mondo; al contrario, ci si trova in comunità con i propri cari sin dalla nascita, legati ad essi nel bene e nel male. Nella società si entra in una terra estranea” (1963, p. 37).

1.2.2. Nancy

Il filosofo francese contemporaneo Jean Luc Nancy, nella sua opera “La comunità inoperosa” (1995), contesta il pensiero di Tönnies affermando che è sbagliato contrapporre il concetto di comunità a quello di società. Secondo Nancy non esiste nessuna comunità perduta da ricostruire: l’avvento di una società basata su stato, industria e capitale, non avrebbe causato la dissoluzione di una felice e ideale comunità precedente. Per il filosofo francese il mito della comunità perduta sarebbe soltanto un archetipo culturale occidentale che ha origine da Omero, fino ad arrivare al cristianesimo e al marxismo. Inoltre, l'ideale della comunità incarna la paura di riconoscere che non è mai esistita una comunità mitica come quella di Cristo o di Marx: "La comunità non ha avuto luogo o meglio, se è certo che l'umanità ha conosciuto ( e conosce ancora, fuori dal mondo industriale) legami sociali diversi da quelli che conosciamo, la comunità non ha avuto luogo fra gli indiani d'America, non ha avuto luogo in una età delle capanne, non ha avuto luogo nello "spirito del popolo" hegeliano, ne nell'agàpe cristiana. La Gesellschaft non è venuta, insieme con lo stato, l'industria e il capitale, a dissolvere una Gemeinschaft precedente" (Nancy, 1995, p. 36).

Per Nancy la società ha semplicemente sostituito una supposta comunità di tipo “partecipativo”, un’aggregazione di individui in cui forse vi era un maggior numero di esperienze comunicative differenti, di valori e di ideali, ma contemporaneamente la struttura sociale era più rigida e più povera rispetto a quella dell’attuale società. “La comunità, lungi dall’essere ciò che la società avrebbe perso o infranto, è ciò che accade – questione, evento, imperativo – a partire dalla società” (Nancy, 1995, p. 37).

Nancy invita, dunque, a non rimpiangere una comunità perduta di anime e corpi e a non voler ricostruire, attraverso i mezzi offerti dalle nuove tecnologie, una nuova comunità originaria. Bisogna, invece, accettare i limiti delle relazioni sociali e comunitarie e provare a costruire relazioni che umanizzino il presente, che ci caratterizza come uomini finiti e limitati.

Secondo Nancy, non è dato un "soggetto" che entra in relazione con altri, ma una singolarità che "compare" solamente all'interno di una comunità. Il filosofo sostiene che si ha una comunità quando singolarità che non hanno la pretesa di essere divine ed eterne, mettono in comune parti limitate della loro esistenza. Si tratta di "una logica del limite, logica di ciò che non appartiene né al puro dentro, né al puro fuori, logica che caratterizza l'essere-con6, il quale si colloca fra la disgregazione della "folla" e l'aggregazione del "gruppo", e l'una e l'altro sono in ogni momento possibili, virtuali, prossimi. Questa sospensione caratterizza l'essere-con: un rapporto senza rapporto, un'esposizione simultanea al rapporto e all'assenza di rapporto" (Nancy, 1995, pp. 182-183). L’essenza comunitaria è, dunque, secondo Nancy, intrinseca nell’uomo e ne precede l’individualità.

1.2.3. Altre definizioni del concetto di comunità dal comunitarianismo ad oggi

Alla fine del Novecento nasce negli Stati Uniti il comunitarianismo, una corrente di pensiero socio-politica e carica di implicazioni morali, finalizzata al recupero del “senso di comunità” (Doheny-Farina 1996, Etzioni, 1993), che indica la soluzione alle angosce, alle contraddizioni e ai dilemmi delle società complesse nel ritorno alle comunità locali. In particolare, le caratteristiche che contraddistinguono una comunità sono, secondo i comunitarianisti, condivisione di interessi e di valori, cure, educazione, comunicazione ed una "voce morale".

Per Hillery (1968) si definisce comunità un insieme di persone che interagiscono all’interno di un’area geografica e hanno uno o più legami supplementari.

Secondo Sennett (1978), il concetto di comunità si riferisce ad una serie di relazioni sociali che si svolgono all’interno di confini precisi, ma una comunità ha soprattutto una componente ideologica in quanto fa riferimento a un senso di identità e interesse comuni.

Secondo Contessa (1981) “perché si possa parlare di comunità occorre innanzitutto uno spazio, un ambiente, un territorio sul quale esistono gli stessi individui e gruppi; occorre che la struttura economica, la stratificazione sociale, le abitudini, il linguaggio abbiano una qualche identità precisa e unitaria; e infine che i singoli gruppi, per motivi storici o contingenti, vivano l’appartenenza a un’entità astratta e comune” (p. 56).

La maggioranza degli studiosi considera l’elemento spaziale come necessario ma non sufficiente alla nascita di una comunità, la quale si stabilizza grazie ai legami psicologici ed emotivi che si creano tra i suoi membri.
Per Fernback e Thompson (1995), senza comunicazione non è possibile che vi sia un’azione che strutturi ed organizzi relazioni sociali.

Entra in gioco dunque anche il concetto di comunione, e al tempo stesso di comunicazione: comunità ha la stessa radice etimologica di comunicazione; entrambi i termini derivano infatti dal vocabolo latino communis (comune), il quale deriva a sua volta da cum (con, insieme) e munis (obbligazione), oppure, unus (uno), dunque “mettere insieme", "riunire” due elementi separati. Comunità significa, quindi, condivisione di ideali, interessi e territori.

Un altro elemento fondamentale sembra essere il senso di appartenenza, cioè la capacità di percepire la similarità con gli altri membri della propria comunità.

Van Vliet e Burgers (1987) analizzano il concetto di comunità alla luce della società postindustriale e sostengono che in una comunità sono presenti l’interazione sociale, un sistema di valori e un sistema di simboli condivisi. Questi elementi darebbero luogo ai quattro scopi di una comunità, ossia un fine sociale (interazioni sociali, solidarietà, relazioni individuali e istituzionali), un fine economico (produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi), un fine politico (formazione di obiettivi e loro realizzazione) e un fine culturale (valori e simboli condivisi e costruzione di mezzi). In questa analisi si intersecano, dunque, dimensioni materiali e simboliche.

La continua rivisitazione del concetto di comunità ne fa un termine incerto usato per descrivere collettività che vanno dal vicinato di quartiere a intere nazioni.

In senso più generale, una comunità può essere descritta come un intreccio di relazioni sociali tenute assieme da circostanze intenzionali, ovvero l’appartenenza comunitaria viene cercata in base ad interessi condivisi; oppure da circostanze non intenzionali: i componenti possono essere scelti da circostanze casuali (comunità di quartiere, alunni di una classe scolastica).

Secondo Paccagnella (2000) il concetto di comunità resta importante come uno dei poli, o “tipi ideali”, di un continuum analitico tra una collettività di persone tenute assieme da relazioni personali dirette, forti valori comuni, sentimenti di solidarietà e riconoscimento reciproco ed una collettività di persone basata su interessi contingenti e momentanei, professionalizzazione, interesse individuale e razionalità.

1.2.4. L'avvento delle nuove tecnologie e il concetto di comunità

Con l'inizio dell'era post-industriale si assiste ad un’ulteriore ridefinizione del concetto di comunità.

L’avvento e la diffusione delle nuove tecnologie ha infatti contribuito alla rivisitazione del concetto di comunità, soprattutto di alcune caratteristiche, come i fattori spaziali e temporali, ritenute fino ad allora basilari per poter parlare di comunità. Ci si chiede se è ancora necessario imporre al concetto di comunità confini e limiti quali la prossimità fisica o geografica, o la coesione politica, ma nel contempo ci si domanda anche se una rete di persone connesse soltanto tramite delle parole o dei messaggi può costituire una comunità. Alcuni autori (McLuhan, 1964; Boorstin, 1978; Meyrowitz, 1985) sottolineano maggiormente gli aspetti positivi, i vantaggi che possono derivare agli individui dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dalla creazione di comunità virtuali. Altri studiosi (Luke, 1993; Turkle, 1995; 1996a; Johnston, 1999) vedono, invece, nella nascita di questi aggregati, un sintomo ed una causa della decadenza del senso di comunità, e di conseguenza portano avanti una critica serrata alla diffusione dei nuovi media di comunicazione. Piuttosto ampia è la letteratura relativa al problema; di seguito ci si propone di dare una lettura organica dei contributi più significativi.

McLuhan (1964) sottolinea come lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione elettronica ha efficacemente annullato le dimensioni dello spazio e del tempo tanto da far vivere l’umanità in una sorta di “villaggio globale illimitato”. Boorstin (1978) afferma che la tecnologia delle comunicazioni crea contatti ed unioni tra nazioni diverse, restringendo le differenze tra le esperienze delle popolazioni, dando vita ad un nuovo tipo di comunità che definisce, in una visione piuttosto utopica e idealizzata, “Repubblica della tecnologia”.

Meyrowitz (1985) osserva invece che le comunità sono state “contagiate” dai mezzi elettronici della comunicazione di massa, e che di conseguenza sono anche cambiate le relazioni tra l’ubicazione delle singole persone e l’accesso all’informazione: “come risultato, l’ubicazione fisica delle persone ora crea solo un tipo di esperienza di gruppo, condivisa ma al tempo stesso speciale” (pp. 143-144). Infatti, secondo Meyrowitz, alcune categorie di persone quali donne, bambini, prigionieri, o abitanti dei ghetti, erano in precedenza esclusi dalla gran parte delle informazioni sociali, in quanto isolati in luoghi particolari. Grazie all’avvento dei messaggi elettronici, tali luoghi hanno avuto la possibilità di divenire maggiormente democratici e omogenei, permettendo alle persone che vi risiedono di condividere esperienze ed interagire con altri, nonostante la loro collocazione fisica.

In opposizione al pensiero di Meyrowitz, Luke (1993) sostiene che lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie ha dato vita ad una nuova classe elitaria, costituita da coloro che hanno libero accesso alla Rete. Luke ritiene che attualmente le comunità siano costituite da un’aggregazione di individui “atomizzati”. Secondo l’autore, il concetto di comunità è oggi debole, esile, a causa della divisione di interessi, della perdita di una comune consapevolezza storica e del venir meno di valori condivisi, dovuti all’avvento delle nuove tecnologie che hanno annullato le distanze geografiche.

A favore di questa posizione sembra essere Sherry Turkle, che in “Virtuality and its discontents” (1996a), afferma che il trend dominante derivato dallo sviluppo delle nuove tecnologie potrebbe essere rappresentato dalla creazione di un’élite dell’informazione, piuttosto che dall’edificazione di una vera comunità. Sembra che i mezzi elettronici rappresentino per lo più luoghi nei quali rifugiarsi per fuggire dalle paure derivanti dalla vita reale, e per supplire al senso di nostalgia che deriva dalla mancanza di un senso di appartenenza e di comunità ormai scomparso e soppiantato da una sorta di anonimato sociale, in quanto nell’atomizzazione post-bellica della vita sociale americana sono sorte comunità di vicini che spesso non si conoscono. Ritenendo che le esperienze vissute in Rete e le comunità virtuali siano mezzi che permettono alle persone di ampliare i propri orizzonti, coloro i quali hanno una visione ottimistica delle nuove tecnologie pensano, secondo Turkle, che i computer capovolgeranno questa atomizzazione. L’autrice si domanda, tuttavia, se sia opportuno pensare che il modo di rivitalizzare il senso di comunità risieda realmente nello stare seduti soli nelle proprie case, scrivendo al computer e riempiendo le proprie vite con le amicizie virtuali.

A tale quesito, sembra rispondere negativamente Johnston (1999), la quale sostiene che la creazione di comunità virtuali non può riempire il vuoto, la mancanza del senso di comunità della società contemporanea. La studiosa sottolinea come l’avvento di un mondo sempre più basato sulla tecnologia abbia come conseguenza il fatto che gli individui dipendono sempre meno dal contatto e dalla prossimità fisica, per il loro benessere e la loro sopravvivenza: infatti, afferma l’autrice, in un mondo in cui un semplice modem permette di essere connessi al mondo esterno, non è più necessario andare in banca, al supermercato, o in un pub. Tuttavia, Johnston avverte che il vantaggio di non avere più bisogno di una comunità dotata di vicinanza fisica, può far sì che le persone dimentichino i benefici derivanti da ciò che ora viene visto come uno svantaggio. Ogni innovazione permette di compiere sia un passo in avanti che uno indietro, e per l’autrice questo passo indietro è costituito dalla mancanza di relazioni interpersonali fornite dalle comunità locali. Nel suo articolo Johnston presenta anche il pensiero di Howard Rheingold, celebre autore del libro “The virtual community” del 1993, nel quale descrive la sua esperienza come membro di The WELL7, una delle prime, più note e frequentate comunità virtuali americane. La visione di Rheingold è molto, forse eccessivamente, ottimista, soprattutto quando sembra sostenere che sorgono comunità in tutti i casi in cui si disponga di tecnologie di comunicazione mediata dal computer. Johnston critica soprattutto l’eccessivo investimento di Rheingold sul supporto ed il sostegno che possono derivare dalla partecipazione ad una comunità virtuale. Johnston difende strenuamente l’importanza della prossimità fisica, della consapevolezza che supporto e sicurezza siano “proprio dietro l’angolo”, poiché nulla, a suo parere, può sostituire la rassicurazione mentale di una presenza vicina. La comunicazione è, senza ombra di dubbio, fondamentale nella costruzione di solide comunità, in quanto essa è il fondamento delle relazioni interpersonali. Tuttavia, costituisce soltanto una parte del complesso puzzle delle relazioni umane: quindi, nonostante le nuove tecnologie portino vantaggi e benefici, i limiti delle comunità virtuali non devono essere sottovalutati.

Sembra che queste ultime posizioni “demonizzino” eccessivamente i cambiamenti portati dalle nuove tecnologie, e si concentrino soprattutto sugli aspetti negativi, forse estremizzandoli. E’ auspicabile probabilmente una posizione intermedia fra un ingenuo ottimismo e un totale rigetto delle nuove tecnologie, come quella espressa da Turkle a conclusione dell'articolo "Virtuality and its discontents" (1996a). L'autrice, dopo aver manifestato i propri timori riguardo l’eccessivo investimento di risorse ed energie nella vita virtuale, a discapito di un’apatia dominante nella vita reale, afferma che non si deve rifiutare totalmente la vita sullo schermo, ma nemmeno considerarla come un’esistenza alternativa. “La persona virtuale può essere una risorsa per un’autoriflessione ed un’autotrasformazione” (p. 64). Le comunità create online possono essere utili a migliorare le comunità offline. Il viaggio all’interno del cyberspazio può divenire importante per il mondo reale, perché aiuta a capire ciò che potrebbe o dovrebbe essere cambiato.


1.3. Le comunità virtuali: definizioni, caratteristiche e tipologie

È impossibile stimare quanti utenti di Internet si considerino parte di comunità virtuali, ma innegabilmente vi sono molti individui che investono intensi sentimenti, oltre a risorse e tempo, in Rete, partecipando a newsgroup, chat, MUD o mailing list. Lo sviluppo e la diffusione di Internet, con la conseguente creazione di comunità in Rete, ha dato origine a numerosi dibattiti: ci si chiede se sia lecito definire comunità le aggregazioni che nascono su Internet, cosa sia esattamente una comunità virtuale e quali caratteristiche la contraddistinguano. Nel tentativo di dare una riposta a tali quesiti si scontrano due schieramenti compatti: da una parte autori che partecipano attivamente a comunità virtuali e sono entusiasti delle potenzialità offerte dalla Rete, dall’altra studiosi critici e contrariati dall’idea che a causa di un considerevole incremento della frammentazione della vita offline, i gruppi online sostituiscano le comunità "reali" intese in senso strettamente geografico.

Le caratteristiche maggiormente contestate alle comunità virtuali sono la loro eccessiva omogeneità e la mancanza di impegno morale, poiché la quasi totalità di esse è strutturata in base ad interessi comuni, e secondo alcuni studiosi (Lockard, 1997; Healy, 1997) questo permetterebbe alle persone di formare gruppi basati sulla similarità e la somiglianza, a tal punto che si verificherebbe poi una tendenza alla chiusura e al settarismo. Inoltre, poiché i partecipanti possono lasciare una comunità virtuale con un semplice "click", secondo i critici esse non indurrebbero i loro membri ad un aperto confronto con la diversità.

Verranno ora prese in esame le principali caratteristiche proprie di una comunità virtuale e alcune tipologie in base alle quali tali comunità possono essere suddivise.

1.3.1. Definizioni

Diversi autori hanno dato una definizione di comunità virtuale, a partire da Rheingold (1993), secondo cui: ”Virtual communities are social aggregations that emerge from the Net when enough people carry on those public discussions long enough, with sufficient human feeling, to form webs of personal relationships in cyberspace” (p. 28).

Per Rheingold ciò che tiene unita e caratterizza maggiormente una comunità virtuale è la presenza di relazioni interpersonali tra i membri. La dimensione comunicativa gioca nelle comunità online un ruolo importantissimo, mentre è totalmente assente la dimensione spaziale. Rheingold, ricorrendo ad un’immagine presa dalla biologia, descrive le comunità virtuali come colonie di microrganismi che crescono spontaneamente in laboratorio, senza che nessuno le programmi. L’autore del celebre “The virtual community” sostiene che le comunità nel cyberspazio siano nate in parte per un malcontento generale a causa della scomparsa di spazi pubblici informali nella vita reale, e in parte per lo spirito pionieristico dei “Netsurfers”, attratti dalla comunità virtuale come mezzo per interagire con altre persone ad un livello completamente nuovo. Il concetto di comunità virtuale non va considerato come una fantasia tecnologica e cyberpunk, in cui le persone vivono in ciò che Mills (1959) definiva “mondi di seconda mano”, incatenate ai loro computer, sperimentando la vita attraverso una tecnologia deumanizzata piuttosto che attraverso contatti umani ed intimità. Rheingold, nel suo libro, esalta con entusiasmo la propria esperienza come membro di The WELL, e narra dei rapporti di amicizia e delle relazioni sviluppatesi in questa comunità, nonché della profonda solidarietà che unisce i partecipanti, e dell'assidua disponibilità di ciascuno nei confronti dei bisogni e dei problemi degli altri membri.

Descrive così la forza dei legami che si formano all’interno delle comunità virtuali: “People in virtual communities do just about everything people do in real life, but we leave our bodies behind. You can’t kiss anybody and nobody can punch you in the nose, but a lot can happen within those boundaries. To the millions who have been drawn into it, the richness and vitality of computer-linked cultures is attractive, even addictive” (p. 5).

Il dibattito a proposito della validità della posizione di Rheingold ha generato molteplici dubbi riguardo all’esistenza di comunità virtuali e all’uso appropriato del termine. Weinrich (1997) asserisce che l’idea di comunità virtuale è sbagliata, in quanto a suo parere una comunità si basa essenzialmente sulla condivisione di un territorio geografico e di una storia comune. La definizione di Rheingold ha ricevuto diverse critiche: Watson (1997) la definisce “culturalista”, poiché Rheingold considera la comunità come risultato di un insieme di relazioni sociali e di interessi comuni, non più come prodotto di uno spazio fisico comune. Quentin Jones (1997), invece, accusa la definizione di “determinismo tecnologico” e critica l’eccessiva visione ottimistica dell’autore, il quale sostiene che vi sia una relazione rilevante tra la tecnologia e il comportamento umano.

Pravettoni (2002) trova la definizione di Rheingold un po’ vaga, pur riconoscendo all’autore di “The virtual community” il merito di aver individuato tre elementi propri di qualsiasi comunità virtuale:

Pravettoni (2002) definisce comunità virtuale “un gruppo formato da persone che sono entrate in contatto grazie alla Rete (WWW, canali IRC, MUD ecc.), si percepiscono parte di questo gruppo, vi partecipano e creano rapporti di comunicazione e, a volte, relazioni interpersonali con gli altri membri” (p. 173). Questa definizione mette in evidenza gli elementi oggettivi sempre presenti in una comunità virtuale, ovvero il contatto avvenuto tramite Internet, un insieme di individui, la consapevolezza di appartenere ad un gruppo e una rete di relazioni comunicative ed interpersonali tra i membri. Secondo Pravettoni, inoltre, è preferibile adoperare il termine “comunità” anziché “gruppo” o “società”, in quanto gli aggregati sociali che si sviluppano in Internet sembrano mancare di elementi quali stabilità e solidità strutturale, e anche perché tale vocabolo sembra più corretto data l’importanza del senso di comunione e del fattore spaziale condiviso che caratterizza gli ambienti virtuali. La comunione di interessi ed ideali è spesso la ragione costitutiva delle comunità virtuali, mentre per quanto riguarda l’elemento spaziale, s'intende uno spazio virtuale. Richiamando il concetto di comunità di Tönnies, si nota come le comunità virtuali abbiano caratteristiche maggiormente simili a quelle proprie della Gesellschaft, ovvero della società: i rapporti interpersonali non sono in esse strettamente vincolanti, e non sempre è presente uno scopo comune.

Molto simile alla definizione data da Pravettoni, è quella fornita da Fernback e Thompson (1995):” (…) social relationship forged in cyberspace through repeated contact within a specified boundary or place that is symbolically delineated by topic of interest" (p. 4). Anche in questo caso, dunque, l’accento è posto sulla comunanza di interessi e sulla ripetizione e la frequenza dei contatti, inizialmente avvenuti in Rete.

Ferri afferma che il valore fondante di una comunità virtuale è costituito dall'interattività, e propone la seguente definizione: "spazi polidirezionali e polidimensionali di interazione, discussione, formazione, lavoro e svago, rese possibili dall'affermarsi dei media digitali" (1999, p. 66).

E' interessante la retrospettiva storica proposta da Stone (1991), che, a partire dalla metà del 1600 fino ad arrivare all'epoca contemporanea, individua quattro epoche nella storia delle comunità virtuali, che ritiene punti di passaggio per la raccolta di pratiche ed interessi comuni capaci di unire persone fisicamente distanti.

  1. La prima epoca, che si colloca in un periodo compreso tra la seconda metà del 1600 e gli inizi del Novecento, è basata sui testi e di conseguenza le comunità virtuali sono di tipo letterario o scientifico. Tale epoca avrebbe avuto origine nel 1669, quando Robert Boyle creò una "comunità di gentiluomini" per comprovare i propri esperimenti scientifici: attraverso uno scambio di messaggi scritti, i membri di questa comunità potevano essere "testimoni" di un esperimento senza essere fisicamente presenti. Le comunità si formavano anche attorno ad un romanzo, generalmente un romanzo sentimentale. Il primo testo che ha dato vita a un tale fenomeno sarebbe stato "Paul and Virginia", un breve romanzo dell'autore francese Bernardin de Saint-Pierre pubblicato nel 1788; pare che un'intera classe sociale, la borghesia francese, si sia cristallizzata attorno alle reazioni emotive prodotte dal libro.
  2. La seconda epoca è basata sullo sviluppo della comunicazione elettronica e dei cosiddetti "media di intrattenimento", ovvero la radio e successivamente la televisione. Quest'epoca ha inizio negli anni Venti, con l'invenzione del telegrafo e raggiunge l'apice con le "conversazioni davanti al caminetto" del presidente degli Usa Franklin Delano Roosevelt, trasmesse via radio. Invece di parlare a poche centinaia di rappresentanti, Roosevelt usa la radio come mezzo attraverso il quale gli ascoltatori - cioè milioni di cittadini americani- possano essere "presenti" nel suo stesso luogo, essere metaforicamente seduti accanto al presidente, nel suo salotto. Tutto questo implica un nuovo modo, diverso e complesso, non solo di sperimentare la relazione tra il corpo e l'Io presente in esso, ma anche di pensare la "presenza" stessa. Il presidente non entra fisicamente nei salotti degli ascoltatori, ma li invita nel proprio e, in un certo senso, gli ascoltatori sono contemporaneamente in due luoghi: il corpo è a casa e l'Io appartenente al corpo si trova con un'altra persona in uno spazio immaginario costruito grazie ad un mezzo tecnologico. In questo caso la tecnologia costituisce un'interfaccia, in quanto media tra il luogo fisicamente inteso e uno spazio immaginario. Successivamente, il cinema e la televisione hanno avuto un simile effetto catalizzatore nell'organizzare gruppi sociali attorno ad un programma o ad una serie televisiva: ne è un esempio la comunità dei fan di "Star Trek". Questa seconda epoca termina intorno alla metà degli anni Settanta, con la nascita delle prime BBS.
  3. Il terzo periodo coincide con l'era della tecnologia dell'informazione. Le prime comunità virtuali online sono costituite dalle BBS, accanto alle quali si sono poi sviluppati sistemi più grafici ed interattivi, basati su programmi maggiormente complessi. Uno dei primi esempi di tali sistemi è SIMNET, una sorta di simulazione militare, ideata per fare fronte ai crescenti timori di una terza guerra mondiale, a causa delle trasformazioni che stavano avvenendo in Europa, soprattutto negli anni Ottanta. Un altro esempio citato da Stone è Habitat, che inizialmente è stato concepito come una specie di murale situato in un edificio di una città californiana. Ogni area del murale rappresenta uno spazio virtuale totalmente ampliabile, che può diventare una foresta o una città, e all'interno del quale l'utente può assumere le sembianze di un personaggio scelto fra le opzioni proposte da un apposito menù, e quando desidera parlare, le parole digitate sulla tastiera appaiono sullo schermo all'interno di una nuvoletta, proprio come in un fumetto. Si può considerare la configurazione grafica e sociale di Habitat una sorta di prototipo degli attuali MUD. Secondo Stone i membri delle comunità virtuali durante la terza epoca hanno acquisito le abilità necessarie per utilizzare i mezzi che, in seguito, si sono sviluppati sul finire del Novecento: hanno imparato a delegare le proprie azione a "sostituti" che esistono soltanto in uno spazio immaginario e si sono abituati all'idea di uno spazio sociale interattivo, artificiale e costituito da messaggi scritti.
  4. Stone considera la pubblicazione del romanzo di Gibson "Neuromante" l’evento più rilevante per lo sviluppo della quarta epoca della storia delle comunità virtuali. La quarta epoca è caratterizzata dalla realtà virtuale e dal cyberspazio, in quanto esso ha permesso il concretizzarsi di una nuova comunità. L'importanza del romanzo di Gibson è in parte dovuta al modo in cui ha contribuito allo sviluppo di una "rivoluzione" tra i ricercatori e i costruttori di strumenti di realtà virtuale, i quali, incoraggiati dall'immaginario tecnologico e sociale descritto nel romanzo, hanno cominciato a riconoscersi ed organizzarsi all'interno di una comunità.

1.3.2. Caratteristiche

Le caratteristiche indispensabili affinché si possa parlare di comunità virtuali sono: un minimo livello di interattività, una varietà di partecipanti, uno spazio virtuale comune "abitato" da un gruppo significativo di partecipanti e un livello minimo di partecipazione. La presenza di interattività permette di escludere dal concetto di comunità virtuale tutte quelle forme di comunicazione online che non sono caratterizzate da un'interazione diretta fra i membri. E' necessario che vi siano scambi comunicativi fra i partecipanti, e che questi percepiscano un senso di appartenenza e coesione coi membri della medesima comunità. E' inoltre fondamentale che ci sia uno spazio virtuale in cui la comunità possa sorgere e svilupparsi, in cui possano comparire i messaggi inviati dagli utenti. Nonostante sia fondamentale la presenza di uno spazio che ospiti la comunità, questa non coincide con esso: ciò che definisce la comunità non è tanto un luogo, quanto piuttosto le relazioni e le interazioni fra i diversi partecipanti.

Le comunità virtuali sono inoltre caratterizzate da un sistema di regole, che possono essere a carattere generale come quelle che riguardano il comportamento e la buona educazione, a carattere tecnico, cioè essere inerenti all'interfaccia usata, oppure, infine, possono riguardare più specificamente il gruppo, ed assomigliare quindi a vere e proprie sanzioni, spesso rigide e severe. Questa rigidità deriva frequentemente dall'eterogeneità dei membri di una comunità virtuale: infatti, mentre in una situazione sociale offline è possibile inferire le norme di un determinato gruppo dal contesto, in Rete ciò è molto più complesso proprio a causa delle differenze culturali fra gli utenti (Pravettoni, 2002). E' dunque necessario imporre norme più rigide, per promuovere un certo conformismo rispetto alle regole vigenti e preservare così la vita della comunità.

In una comunità virtuale spesso è presente una gerarchia: vengono definiti ruoli e status dei membri che la costituiscono, proprio come accade nei gruppi offline. Le peculiarità che contraddistinguono i processi che si verificano in Rete sono: elasticità e mobilità psicosociale. Alcuni autori (Short et al., 1976; Sproull e Kiesler, 1986) ritengono che online lo status sia meno rilevante, poiché gli individui, non mostrando realmente se stessi, possono scegliere quali parti di sé mostrare e quali nascondere; di conseguenza, mancherebbero gli indizi che consentono di percepire e attribuire lo status. Tuttavia, ciò non è totalmente esatto: generalmente i ruoli sono ben percepiti dai partecipanti di un newsgroup. In una comunità virtuale si possono trovare dei semplici visitatori o lurker8, coloro che si limitano a vagare qua e là per curiosare e leggono i messaggi senza postare nulla; i novizi, o newbie, vale a dire i nuovi arrivati; gli utenti "stabili", che partecipano regolarmente e da tempo alla vita di comunità e sperimentano un intenso senso di appartenenza; i leader, cioè dei punti di riferimento all'interno del newsgroup e gli "anziani", o oldbie, cioè gli utenti che partecipano da più tempo alla vita di comunità. Il ruolo e lo status all'interno delle comunità online derivano solitamente dal tempo di partecipazione alle stesse, ma il proprio prestigio personale può accrescere o decrescere in seguito al comportamento sociale ed al contributo apportato ai tre capitali della comunità, che sono stati individuati da Rheingold (1993). Le gerarchie sono comunque flessibili all'interno delle comunità virtuali e un individuo può controllare la propria posizione e modificare il proprio status: attraverso la partecipazione alla vita della comunità, e la propria competenza relazionale, è possibile infatti modificare il proprio ruolo.

Secondo Rheingold (1993) gli ambienti virtuali, pur non essendo totalmente privi di competizioni e rivalità sono generalmente percepiti come più collaborativi e solidali e, spesso, sono vissuti come luoghi di compensazione o di riscatto, all'interno dei quali è possibile evitare di ritrovare e ripetere le mancanze della vita "reale". Non di rado però anche al loro interno sorgono dei conflitti, determinati da diversi fattori. In primis, la comunicazione in Rete è priva di indizi non verbali, e ciò può incrementare l'errata percezione del tono dei messaggi. Nonostante l'introduzione degli emoticon10, è ancora facile cadere nell'incomprensione e rispondere in tono aggressivo ad un messaggio che, pur non essendo tale nell’intenzione del mittente, si è percepito come offensivo. In secondo luogo, l'anonimato e la distanza fisica secondo Sproull e Kiesler (1986) permettono di assumere in Rete un comportamento più disinibito e di manifestare maggiore aggressività. Uno dei comportamenti aggressivi più studiati è il flame, cioè uno scambio di insulti fra due persone che avviene in un ambiente virtuale. Un altro tipo di conflitto è costituito invece dal sabotaggio: si tratta di un comportamento ostile non manifesto nei confronti di un membro della comunità, che si esprime attraverso battute pungenti, tentativi di mettere in cattiva luce agli occhi degli altri la persona che si è scelto di colpire. In alcuni casi si ricorre al framing che consiste nel segmentare i messaggi di una persona ed estrarne alcune parole in modo da modificare il testo originale del messaggio e fornire una visione ridotta dell'altro individuo. Quando invece è l'intera comunità a mettere in atto comportamenti aggressivi verso un membro si parla di sanzione, attuata attraverso sabotaggi latenti, punizioni o l'espulsione dalla comunità. Spesso le sanzioni vengono applicate in seguito all'infrazione delle regole della comunità o della netiquette.

Esistono poi degli individui, definiti troll11 o, secondo Bartle (1985), killer, che creano tensioni all'interno di una comunità al fine di destabilizzarla, mettendo alla prova la coesione dei membri ed il loro senso di appartenenza, infrangendo tutte le regole proprie della comunità. Questi tipi di fenomeni fanno parte di quelle che Pravettoni (2002) definisce "dinamiche ingroup", cioè di quelle dinamiche che si sviluppano all'interno di una stessa comunità.

Per quanto riguarda, invece, le "dinamiche outgroup", vale a dire l'insieme dei processi attraverso cui una certa comunità si relaziona ad altre, si nota che online si verificano più di frequente fenomeni di collaborazione che non di conflitto. Vi sono diversi casi di gemellaggio e condivisione di risorse tra differenti gruppi in Rete. L'unione di più comunità contribuisce ad arricchire i partecipanti, ad ottimizzarne le risorse ed a facilitare lo scambio di informazioni.

1.3.3. Tipologie

E' possibile compiere una classificazione delle comunità virtuali presenti in Rete seguendo diversi criteri.

Innanzitutto possiamo operare una distinzione "tecnica". Le comunità virtuali vere e proprie sono costituite dai newsgroup e dai MUD. Vi sono poi le mailing list e le chat line. I newsgroup sono delle conferenze o bacheche elettroniche nelle quali i messaggi possono essere semplicemente letti, senza mai spedire nulla, oppure è possibile inviare un proprio messaggio. Il tipo di comunicazione è asincrono, ovvero i messaggi non vengono scambiati in tempo reale fra i partecipanti. La loro struttura portante è costituita da archivi suddivisi o identificati dal tipo di argomento discusso, che funzionano come una bacheca.

I MUD (MOO o MUSH) sono ambienti in cui si gioca o si lavora, simulando e costruendo qualcosa. Sono i discendenti dei giochi di ruolo ispirati al genere fantasy. In questi ambienti i partecipanti possono costruirsi un personaggio, avente un ruolo e delle caratteristiche ben definite, costruire ambienti o artefatti, instaurare relazioni di collaborazione o conflitto con gli altri membri.

Una mailing list non rappresenta una vera e propria comunità virtuale: consiste in una lista di indirizzi di posta elettronica cui vengono inviate email relative ad uno specifico argomento. Per partecipare ad una mailing list è necessario iscriversi e fornire il proprio indirizzo di posta elettronica, tuttavia gli utenti di una stessa lista non si conoscono e per lo più non si scambiano messaggi fra loro. Manca pertanto quell'interattività che sembra essere necessaria alla costituzione di una comunità virtuale.

Infine, le chat line consistono in scambi di messaggi scritti che risultano essere vere e proprie "chiacchierate" in tempo reale. Sono costituite da "stanze" tematiche in cui ci si incontra e si socializza e anche per le chat line non sembra molto adatta la definizione di comunità virtuali vere e proprie, in quanto gli utenti delle diverse stanze variano con una certa facilità e rapidità.

Ferri (1999) propone una suddivisione in cinque tipologie prettamente tematica, che si basa in particolare sugli scopi delle comunità analizzate.

  1. Comunità di dibattito e discussione in tempo reale, ovvero le chat line, che permettono un tipo di comunicazione sincrona, cioè immediata. All'interno di queste grandi "stanze" o "piazze" virtuali, è possibile discutere dei più svariati argomenti. Le chat costituiscono un nuovo tipo di aggregazione sociale, e possono produrre conseguenze sulla vita reale del soggetto, grazie a raduni o incontri reali. Le chat line si differenziano dalle comunità virtuali vere e proprie e dai newsgroup poiché presentano un tipo di CMC sincrono, quindi i messaggi devono essere scambiati e letti in tempo reale e non possono essere letti successivamente.
  2. Comunità generaliste di socializzazione, informazione, discussione o gioco, che comprendono mailing list, newsgroup e siti di discussione, informazione, relazioni sociali, divertimento. Sono comunità più strutturate ed articolate rispetto alle chat: per parteciparvi è necessario iscriversi e fornire i propri dati. Inoltre, spesso esistono vere e proprie regole istitutive della comunità e norme di comportamento. All'interno di questa categoria, possiamo citare le reti civiche, ovvero comunità virtuali che connettono una comunità locale, e forniscono, oltre a servizi Internet, quali la posta elettronica, uno spazio per la costruzione della homepage personale, informazioni e notizie utili riguardanti la relativa area metropolitana. Uno degli esempi più importanti in Italia è costituito dalla rete civica di Milano. E' inoltre molto importante la rete civica "Iperbole" della città di Bologna.
  3. Comunità tematiche di socialità, ricerca o svago, cioè mailing list e newsgroup dedicati ad un tema specifico. In queste comunità che sono le più diffuse e frequentate all'interno della Rete i temi sono solitamente ben definiti.. E' importante sottolineare il carattere transnazionale di tali comunità, che permette uno scambio di informazioni ed opinioni anche con persone di nazionalità e quindi di cultura diversa.
  4. Comunità tematiche di azione e organizzazione istituzionale, politica e sociale, dedicate alla promozione ideologica od organizzativa di movimenti politici, sociali e culturali.
  5. Comunità virtuali finalizzate alla commercializzazione e alla vendita. Si tratta di siti che offrono gratuitamente dei servizi, in cambio della compilazione di una scheda personale, grazie alla quale ottenere informazioni sugli utenti, utili a scopi commerciali.

Pravettoni (2002) distingue invece le comunità virtuali secondo tre tipologie: strutturate, non strutturate e a struttura mista.

  1. Le comunità strutturate sono caratterizzate da regole ben precise, da un obiettivo comune ed esplicito, e spesso promuovono il prolungamento delle relazioni sociali nella vita offline, attraverso appuntamenti ed incontri face to face, che aumentano la coesione di gruppo e la solidità dei rapporti interpersonali. Sono comunità virtuali forti e molto stabili poiché sono spesso radicate in una precisa realtà territoriale. I loro membri sono uniti da un intenso coinvolgimento e sperimentano un forte senso di appartenenza e un notevole spirito di comunità. I temi di discussione, che sono tendenzialmente più seri e complessi e si avvalgono di modalità di comunicazione asincrona, spesso operano una "selezione" dei partecipanti. I membri di queste comunità condividono generalmente uno o più interessi e una sorta di background comune. Queste comunità possono essere aperte, cioè non porre limiti al numero di utenti e non richiedere caratteristiche o requisiti specifici per accedervi, oppure chiuse. Solitamente in questo genere di comunità l'ingresso di nuovi membri viene percepito come una risorsa utile ad incrementare i beni collettivi; vengono predisposti talvolta dei "comitati d'accoglienza" per guidare i cosiddetti newbie ed affiancarli inizialmente nella ricerca delle informazioni o degli argomenti che destano maggiormente il loro interesse. Questa tecnica permette ai nuovi membri di sentirsi valorizzati, protetti e ben accetti.
  2. Le comunità non strutturate, al contrario, sono maggiormente fluide ed instabili, la loro "popolazione" è più eterogenea rispetto a quella delle comunità strutturate e le relazioni tra i membri sono meno solide. Si basano su una modalità di comunicazione sincrona, su scambi rapidi ed informali; i temi di discussione sono molto vari e il contesto comunicativo non è definito. I gruppi si formano e si sciolgono velocemente: non vi è un senso di partecipazione e coesione fortemente sentito, che invece caratterizza le comunità strutturate. L'interazione è caratterizzata da una maggiore occasionalità e da poche possibilità di un altro incontro successivo.
  3. Le comunità a struttura mista si collocano in una posizione intermedia rispetto alle altre due categorie. Non vi è una struttura sociale particolarmente rigida: vi sono ruoli definiti, ma non associati a gerarchie. E' presente un senso di appartenenza ma non è forte come quello proprio dei membri delle comunità strutturate. I contenuti sono rigidi, definiti, e le identità dei partecipanti sono più stabili rispetto alle comunità non strutturate. Anche le regole di iniziazione di queste comunità risultano piuttosto rigide; i newbie, per accedervi, dovrebbero leggere le FAQ, che permettono loro di venire a conoscenza delle norme e delle regole presenti all'interno della comunità, nonché di apprendere il background comune riguardo l'argomento del gruppo. I novizi dovrebbero inoltre leggere tutti i messaggi scritti dagli altri membri e limitarsi per un certo tempo al ruolo di lurker; il loro intervento dovrebbe essere successivo ad una comprensione delle discussioni presenti nel newsgroup e delle forme d'interazione accettate o inaccettate.

Vicari (1996) effettua invece una classificazione in base alle necessità ed agli obiettivi delle comunità virtuali, individuando tre tipi di comunità:

  1. comunità virtuali strumentali, cioè comunità scientifiche, orientate al compito, all'interno delle quali i partecipanti solitamente sono interessati soprattutto ad un arricchimento culturale ed agli aspetti cognitivi, più che a quelli emotivi. A questa categoria appartengono anche le comunità virtuali terapeutiche, veri e propri gruppi di supporto psicologico, che sono sia orientate al compito che alla relazione;
  2. comunità virtuali di creazione di relazioni, orientate all'espressività. In esse lo scopo principale è la condivisione di emozioni;
  3. comunità virtuali di sperimentazione dell'identità, in cui lo scopo è mettere in gioco la propria identità: si tratta soprattutto dei MUD o di alcuni canali di chat.


1.4. Riflessioni sul concetto di comunità virtuale

1.4.1. Precarietà ed omogeneità: il punto di vista dei critici delle comunità virtuali

Alla luce della letteratura è possibile individuare alcuni punti focali che alimentano il dibattito tra fautori e denigratori delle comunità virtuali. Ferri (1999), riprendendo la distinzione operata da Eco, da un lato definisce integrati i fautori delle comunità virtuali, ovvero coloro che ne danno un'immagine positiva, dall’altro denomina apocalittici coloro che le criticano.
Innanzitutto, ci si chiede se sia o meno opportuno attribuire a queste aggregazioni virtuali l'appellativo di "comunità". Una delle critiche più consistenti rivolta alle comunità virtuali riguarda la loro precarietà.

Secondo Turner (1972) una comunità virtuale può essere definita come comunità "liminale", cioè una comunità aperta che ha come elemento fondante proprio l'instabilità. Poiché non ha alla base un accordo solido e stabile (Stallabrass, 1995), si caratterizzerebbe come una forma di legame provvisorio e instabile, che è destinato a dissolversi rapidamente. Un critico agguerrito delle comunità virtuali è Maldonado, che nella sua opera "Critica della ragione informatica" (1997) afferma che le comunità virtuali sono deboli e destinate alla dissoluzione, poiché non sopravvivono all'emergere di differenze al loro interno. Infatti, secondo l'autore, il conflitto non può essere affrontato e superato da comunità che hanno come fondamento dei principi deboli, quali l'affinità e la comunanza di interessi. A causa di questa incapacità di articolare un confronto, secondo Maldonado le comunità virtuali non sono in grado di contribuire ad un potenziamento dell'agire democratico. Egli afferma: "Le comunità virtuali, in quanto associazioni che derivano da una libera e spontanea confluenza di soggetti con unanimi vedute, sono comunità con scarsa dinamica interna. Per il loro alto grado di omogeneità tendono ad essere decisamente autoreferenziali. E non di rado si comportano come vere e proprie sette, in cui l'esacerbazione del senso di appartenenza conduce, nei fatti, ad escludere qualsiasi differenza di opinione tra i membri" (p. 20).

Da queste analisi, le comunità virtuali emergono dunque come forme di interazione debole, incapaci di avere un impatto reale sulla società. Ferri (1999) sostiene che la "liminalità" propria delle comunità virtuali non ne costituisce un limite, ma mette in luce piuttosto un limite delle nostre società complesse. Egli fa riferimento a Giddens, che nella sua opera "Le conseguenze della modernità" (1994) espone la teoria dell'"ipermodernità" . Tale ipermodernità avrebbe fra le sue conseguenze la tendenza alla "disaggregazione" e allo sradicamento delle istituzioni sociali. Tutto ciò comporterebbe una duplice forma di precarietà che corrisponderebbero allo "svuotamento del tempo" e allo "svuotamento dello spazio", causati dall'estraniazione progressiva degli individui all'interno dei propri contesti istituzionali.

La tipologia di rapporti che caratterizzano le comunità virtuali rispecchierebbe, dunque, la realtà disaggregata che ci circonda, la perdita spaziale e temporale di radicamento degli individui. Tuttavia Ferri si chiede se le comunità virtuali non possano essere luoghi di produzione di senso, più che luoghi di distruzione e frammentazione sociale. Lo stesso Giddens ipotizza che alla tendenza alla "disaggregazione" si contrapponga una tendenza alla "riaggregazione". Le comunità potrebbero rappresentare un mezzo per una nuova forma di aggregazione sociale. Secondo Ferri "le comunità virtuali non sono condannate alla precarietà e allo scacco, non sono condannate da uno statuto epistemologico debole (…) ma possono configurare, invece, un nuovo scenario sociale e comunitario" (p. 90). Le comunità virtuali infatti offrono una risposta ad un bisogno di socialità, comunicazione e scambio interpersonale attualmente sempre più pressante.

Un'altra critica frequentemente rivolta alle comunità virtuali riguarda la loro eccessiva omogeneità: Stratton (1997, p. 271) addirittura sostiene che "la mitizzazione americana di Internet come comunità rappresenta un sogno nostalgico di una comunità che riafferma il dominio della "middle-class" maschile e di razza bianca e dei suoi valori culturali". Alcuni critici (Tabbi, 1997; Healy, 1997) attribuiscono il livellamento di razza, status e classe che si sviluppa fra gli utenti delle nuove tecnologie alla volontà di evitare la responsabilità morale nei confronti dei problemi che affliggono la "vita reale". Le comunità "reali" richiedono qualcosa in più di un'aggregazione volontaria di individui che hanno opinioni e pensieri comuni.

L'affermazione di Doheny-Farina (1996): "Una comunità è delimitata da un luogo, che include sempre necessità complesse, sociali e ambientali. Non è qualcosa a cui si può facilmente unire. Non è possibile iscriversi ad una comunità allo stesso modo in cui ci s'iscrive ad una discussione di gruppo in rete. Essa deve essere vissuta. Essa è complessa, contraddittoria e coinvolge tutti i nostri sensi" (p. 87) esemplifica le connotazioni date dai critici alle comunità virtuali. Altri autori (Turkle, 1996a; Johnston, 1999) ritengono che la diffusione delle aggregazioni virtuali derivi dalla nostalgia per le comunità locali, ormai sempre più disgregate: in Rete, si ricerca un senso di appartenenza, uno spirito comunitario ormai limitato o scomparso all'interno delle comunità locali, nelle quali regna sempre di più l'anonimato.

Ma è vero che le comunità virtuali sono mere sostituzioni di quelle reali? Da alcune ricerche (Cody et al., 1997; Joe, 1997) emerge che chi nella vita reale è isolato, sceglie di esserlo anche online, così come coloro che offline vivono numerose relazioni interpersonali, intraprendono numerose interazioni anche in Rete. E' quindi vero che da un lato per alcuni individui le comunità virtuali sono vissute come portatrici di un ormai assente o scarso senso di comunità, ma dall’altro tutto ciò accade, nella maggior parte dei casi, senza che venga influenzata o condizionata la vita offline. Spesso, l'appartenere ad una comunità virtuale può offrire spunti ed intuizioni che contribuiscono a migliorare la situazione delle comunità locali, ma non le può sostituire.

1.4.2. La comunità virtuale secondo Lévy

Nella sua opera "Il virtuale"12 (1997), Lèvy afferma che le comunità virtuali costituiscono una sorta di "modello" dei tratti essenziali dell'attuale vita comunitaria. Secondo l'autore, l'introduzione dei mezzi informatici porta all'apertura di un nuovo spazio antropologico, lo spazio del sapere, che coincide con la messa in comune dell'immaginazione e delle conoscenze presenti nella società. Lo spazio del sapere sarebbe uno spazio aperto della comunità virtuale dei saperi. Al suo interno, "gli intellettuali collettivi ricostituiscono un piano di immanenza del significato, in cui gli esseri, i segni e le cose ritrovano una relazione dinamica di mutua partecipazione" (1996, p. 170). Lo spazio del sapere è lo spazio virtuale aperto dalle nuove tecnologie. Lèvy concettualizza la comunità virtuale come potenziamento e creazione di un'entità collettiva grande come il mondo. Gli individui, all'interno della Rete, sono deterritorializzati e virtualizzati, si presentano sulla base di interessi ed esigenze proprie, costituiscono dei gruppi associati che mettono in atto la costituzione cooperativa di un sapere comune. Inoltre, secondo l'autore, l'avvento delle tecnologie informatiche e la conseguente virtualizzazione degli individui e delle loro forme di socializzazione comporta per gli esseri umani l'apertura di una nuova dimensione antropologica e di un nuovo spazio dell'abitare: si tratta dello spazio virtuale, che libera dal "hic et nunc".

La posizione di Lèvy si contrappone nettamente a quella di autori quali Maldonado e Turner, poiché sottolinea gli aspetti positivi che possono derivare dalle nuove forme di aggregazione sociale e riconosce le potenziali opportunità che possono derivare dalla diffusione delle comunità virtuali. Inoltre, secondo l'autore, le comunità virtuali non si propongono "di ricreare una edenica comunità contrapposta a una società reificata" (Ferri, 1999, p. 106), ma rappresentano la nascita di nuove forme di relazioni comunitarie.

Ferri (1999) si domanda se il processo di virtualizzazione incrementerà l'alienazione, l'atomizzazione, l'esclusione fortemente presenti nella società contemporanea oppure condurrà ad un nuovo livello di coscienza collettiva. Secondo Ferri, l'esito favorevole del processo dipende dalla capacità di assecondare le tendenze positive dell'evoluzione che sta avvenendo, sviluppando appieno le potenzialità delle nuove tecnologie e valorizzandole al fine di ricreare vincoli e legami sociali basati sulla condivisione dei saperi e di riconoscere le differenze e la loro intrinseca ricchezza, il valore del dialogo e della diversità. Al contrario, se le comunità virtuali si avvieranno verso il consumo dell'informazione commerciale e l'esclusione dei non connessi, virtualizzazione diventerà sinonimo di alienazione e di isolamento.

1.4.3. Perché un individuo partecipa ad una comunità virtuale?

Pravettoni (2002) indaga i motivi per cui gli individui decidono di partecipare ad una comunità virtuale. Innanzitutto, sottolinea che l'istinto naturale di ogni uomo tende alla "gruppalità" e che "in rete tutto è instabile" in quanto: la connessione si può improvvisamente interrompere, le identità possono essere fittizie, e possono essere modificate a proprio piacimento, i gruppi, soprattutto nelle stanze delle chat si formano e si riformano a seconda degli utenti presenti, e la stessa struttura della Rete non è definita, ma si può esplorare attraverso percorsi individuali. Proprio da questa instabilità intrinseca alla Rete può emergere il bisogno di sentirsi parte di un gruppo, per "esorcizzare" il senso di precarietà proprio di tale contesto e per acquisire un senso di stabilità. Non bisogna dimenticare che nella piramide dei bisogni proposta da Maslow (1954), il bisogno di appartenenza si situa subito dopo i bisogni fisiologici primari ed è quindi molto importante per gli individui.

Secondo Rheingold (1993) i motivi che inducono le persone a partecipare ad una comunità virtuale sono primariamente connessi alle motivazioni individuali ed al vantaggio personale. Turkle (1996a; 1996c) invece sostiene che coloro che scelgono di parteciparvi si propongono di arricchire il proprio Sé, e tale arricchimento prevede anche la sperimentazione dell'identità personale.

Si può quindi ritenere che le comunità virtuali rispecchino il bisogno di socialità, intrinseco ad ogni essere umano, e non si pongano come semplici alternative alla vita di ogni giorno. Nella maggior parte dei casi, non costituiscono un rifugio tranquillo e sicuro in cui compensare gli aspetti negativi della propria esistenza, ma una semplice forma di aggregazione e di arricchimento personale, attraverso il quale conoscere nuove persone con cui condividere i propri interessi e ampliare le proprie conoscenze riguardo ad un argomento specifico. Inoltre non bisogna pensare alla partecipazione ad una comunità virtuale come ad una totale fuga dalla realtà quotidiana: infatti, "online" ed "offline" si intersecano e una dimensione non esclude l'altra.

Tab. 1 - Il concetto di comunità

Anno Autore Definizione
1887 Tönnies Contrapposizione tra il concetto di Gemeinschaft (comunità) è Gesellschaft (società). Nella comunità gli individui sono legati da una "volontà naturale", nella società gli individui sono legati da una "volontà razionale".
1995 Nancy Non esiste alcuna comunità perduta da ricostruire. Si ha una comunità quando singolarità che non hanno la pretesa di essere divine ed eterne mettono in comune parti limitate della loro esistenza. L'essenza comunitaria è intrinseca nell'uomo e ne precede l'individualità
1993; 1996 Comunitarianismo (Doheny-Farina, Etzioni) Una comunità è caratterizzata da condivisione di interessi e di valori, cure, educazione, comunicazione ed una "voce morale".
1968 Hillery La comunità è costituita da un insieme di persone che interagiscono all'interno di un'area geografica e hanno uno o più legami supplementari.
1978 Sennett La comunità necessita di confini precisi, all'interno dei quali si sviluppa una serie di relazioni sociali, ma ha soprattutto una componente ideologica, in quanto fa riferimento a un senso di identità e interesse comuni.
1981 Contessa È necessario che vi sia uno spazio, un ambiente affinché si possa parlare di comunità. Inoltre, rivestono una notevole importanza il senso di appartenenza ad un'entità astratta e comune, e l'esistenza di un'identità unitaria di linguaggio, abitudini, stratificazione sociale.
1995 Fernback e Thompson Affinché si strutturino e si organizzino relazioni sociali, è necessaria la comunicazione.
1987 Van Vliet e Burges

In una comunità sono presenti l'interazione sociale, un sistema di valori e un sistema di simboli condivisi.
Vengono individuati, all'interno di una comunità, quattro scopi principali:

  • Fine sociale
  • Fine economico
  • Fine politico
  • Fine culturale

Tab. 2 - L'avvento delle nuove tecnologie e il concetto di comunità

Anno Autore Definizione
1964 Mc Luhan Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha annullato in modo efficace le dimensioni dello spazio e del tempo, tanto da far vivere l'umanità in una sorta di "villaggio globale illimitato".
1978 Boorstin La tecnologia delle comunicazioni crea contatti tra nazioni diverse, restringe le differenze tra le esperienze delle popolazioni, dando vita alla "Repubblica della tecnologia".
1985 Meyrovitz L'avvento delle nuove tecnologie permette l'accesso alle informazioni sociali anche a categorie di persone prima emarginate o isolate: la collocazione fisica non è più un limite per la condivisione di esperienze e l'interazione con gli altri.
1993 Luke L'avvento delle nuove tecnologie favorisce lo sviluppo di una nuova classe elitaria, costituita da coloro che possono più facilmente e liberamente accedere alla Rete. L'annullamento delle distanze geografiche ha causato la perdita di una comune consapevolezza storica, il venir meno di valori condivisi e, di conseguenza, un indebolimento del concetto di comunità.
1996 Tuckle Lo sviluppo delle nuove tecnologie non dà vita ad una vera comunità, bensì ad un'élite dell'informazione. I mezzi elettronici di comunicazione rappresentano una "fuga" dalle paure della vita reale. Non bisogna, tuttavia, rifiutare totalmente la "vita virtuale", poiché creare comunità online può servire a migliorare le comunità offline, ma non bisogna neppure considerarla come un'esistenza alternativa
1999 Johnston La creazione di comunità virtuali non può sopperire alla mancanza del senso di comunità proprio della società contemporanea. È fondamentale la prossimità fisica, la consapevolezza che vi sia una presenza vicina che possa offrire supporto e sicurezza.

Tab. 3 - Concetto do comunità virtuale

Anno Autore Definizione
1993 Rheingold "Social aggregations that emerge from the Net when enough people carry on those public discussions long enough, with sufficient human feeling, to form webs of personal relationship in cyberspace" (p. 28).

Caratteristiche principali:

  • Presenza di relazioni interpersonali tra i membri
  • Dimensione comunicativa
  • Capitale sociale di Rete
  • Capitale di conoscenze
  • Comunione sociale
2002 Pravettoni "Un gruppo formato da persone che sono entrate in contatto grazie alla Rete (…), si percepiscono parte di questo gruppo, vi partecipano e creano rapporti di comunicazione e, a volte, relazioni interpersonali con gli altri membri" (p. 173).

Caratteristiche principali:

  • Contatto avvenuto tramite Internet.
  • Presenza di un insieme di individui.
  • Consapevolezza di appartenere ad un gruppo.
  • Rete di relazioni interpersonali e comunicative tra i membri.
1995 Fernback e Thompson "Social relationship forged in cyberspace through repeated contact within a specified boundary or place that is symbolically delineated by topic of interest" (p. 4).

Caratteristiche principali:

  • Comunanza di interessi.
  • Ripetizione e frequenza dei contatti, inizialmente avvenuti in Rete.
1991 Stone

La storia delle comunità virtuali è caratterizzata da quattro epoche:

  • Comunità di tipo letterario o scientifico.
  • Sviluppo della comunicazione elettronica e dei "media di intrattenimento".
  • Era della tecnologia dell'informazione: nascita delle BBS, le prime comunità virtuali online.
  • Realtà virtuale e cyberspazio.

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