3. IL FAKE

3.1. Definizione e caratteristiche

3.1.1. Dissociazione, frammentazione, integrazione: i molteplici aspetti dell'identità online

Quando, offline, si incontra un'altra persona, la prima azione che si compie è senza dubbio quella di valutare chi o che cosa è l'altro. Una premessa basilare per le dinamiche interazionali sembra essere la possibilità e la capacità di categorizzare l'altro in modo significativo, al fine di poter gestire in modo adeguato l'interazione. Nell'attuale società occidentale, le categorie primarie di differenziazione e categorizzazione sono rappresentate dal genere, dalla razza d'appartenenza e dall'età, poiché sono le caratteristiche più facilmente ed immediatamente percepibili.

Nel "regno" del cyberspazio tali caratteristiche perdono la loro salienza nel processo di categorizzazione valutativa del sé e dell'altro (O'Brien, 1999). In Rete, infatti, non è possibile soltanto comunicare quasi istantaneamente con persone geograficamente e culturalmente distanti, ma anche sperimentare l'opportunità di viaggiare attraverso lo spazio virtuale nelle vesti di una persona totalmente diversa da ciò che si è nella "vita reale". Il numero di personaggi che possono essere creati e interpretati è limitato solamente dalla propria immaginazione: "On the bulletin boards life reality is transformed into virtual reality. From the first moments of logging on, new users creatively craft ironically-intentioned or whimsically- concocted "handles" that replace everyday names. Newly generated personas- faceless, voiceless, bodiless- displace history with a timeless present and multiple selves easily co-exist with a flick of a finger. Fantasy is freed" (Wiley, 1995, p. 9).

Poiché le conversazioni elettroniche avvengono "without considerations that derive from the presence to the partner of their body, their voice, their sex, many of the marking of personal history, conversationalists are in the position of fiction writers" (Poster, 1990, p. 117), il cyberspazio rappresenterebbe una sorta di "paese delle meraviglie", una specie di "regno amorfo" in cui le identità sono liquide, intangibili (O'Brien, 1999).

La Rete è, contemporaneamente, uno spazio sociale poiché permette la nascita di relazioni all'interno di contesti vincolati socialmente e uno spazio virtuale, cioè un luogo di interazione immaginario creato da un accordo comune (Pravettoni, 2002). Questo spazio virtuale offre la possibilità di un "travestimento" attraverso il mezzo, una sorta di "carnevale digitale". All'interno della Rete il corpo può essere scisso dal soggetto grazie al testo: il soggetto, in quanto produttore di testi, può cioè "scomporsi". "Con la Rete il corpo diviene sempre più fisico, mentre il soggetto diviene sempre più testuale" (Pravettoni, 2002, p. 51).

Il corpo costituisce l'asse portante delle interazioni face to face; l'interazione all'interno dei gruppi virtuali, invece, avviene generalmente attraverso il testo scritto: nel cyberspazio, quindi, l'identità degli interlocutori è libera, mutevole e flessibile (Stone, 1995; Turkle, 1995). L'assenza del corpo e dei parametri propri della comunicazione non verbale da un lato evita che si formino pregiudizi, dall'altro facilita comportamenti disinibiti. Infatti, come afferma Pravettoni (2002) "il testo, presenta un grado di veridicità e credibilità ben diverso dal "testo del corpo" (p. 49). Comunicare solamente attraverso il testo offre l'opportunità di essere se stessi, di esprimere solo una parte della propria identità, di rimanere completamente anonimi oppure di assumere identità multiple o fittizie.

L'identità di una persona incarna la molteplicità. Infatti, un individuo si modifica continuamente in relazione ai contesti sociali e ai ruoli che "impersona" all'interno dei contesti: ad esempio un individuo può essere figlio, genitore, studente, amico, e così via. Il cyberspazio offre una nicchia per ciascuna di queste sfaccettature del sé. Spesso, si parla del fatto che è possibile "scomporre" (deconstruct) se stessi online. Infatti, non è necessario presentare le proprie caratteristiche "in un solo, grande pacchetto", in quanto possiamo suddividerle "in pacchetti di dimensioni e contenuti diversi" (Suler, 2001).

Nel cyberspazio, dissociare o dividere in compartimenti le caratteristiche della propria personalità può rivelarsi un utile modo per controllare la molteplicità del sé.

Online esiste l'opportunità di focalizzarsi su particolari aspetti della propria identità e svilupparli. É inoltre possibile, alle persone, esplorare ed esprimere altri versanti della propria personalità e del proprio sé che non riescono a manifestarsi nelle interazioni face to face. In Rete, ad esempio, alcuni tendono ad incrementare l'emergere dei tratti più positivi, altri, invece, si focalizzano su alcuni tratti considerati negativi nel tentativo di trasformarli o di cambiare il proprio atteggiamento verso di loro. Ad esempio, una persona omosessuale può accettare la propria condizione grazie alla partecipazione ad una comunità virtuale o ad un gruppo di supporto online e conferire una valenza positiva alla propria omosessualità. Una persona molto timida e inibita nelle relazioni interpersonali può sperimentare, grazie alla protezione offerta dallo schermo e alla "maschera" del nickname, le proprie capacità comunicative che stentano ad emergere face to face.

Turkle (1995) riporta le affermazioni di alcuni partecipanti ad un gruppo di discussione di The WELL sulle personae online. L'esperienza vissuta nell'ambiente virtuale è considerata da molte persone un'occasione nuova e importante per riflettere maggiormente su alcuni aspetti che solitamente vengono dati per scontati. "La faccenda della personalità (personae) (….) è la possibilità, per tutti noi che non siamo attori, di interpretare varie maschere. E pensiamo alle maschere che indossiamo ogni giorno" (Turkle, 1995, p. 386). L'identità online sembra, dunque, costituire un espediente per pensare al sé: l'ambiente virtuale diviene una sorta di "spazio d'analisi" e l'emergere di alcuni aspetti del sé si può paragonare a ciò che accade in un incontro psicoanalitico. Alcuni membri di The WELL hanno affermato che, grazie alla partecipazione ad un newsgroup e alla possibilità di esprimere i molti aspetti del sé, "sempre più assomigliamo a piccole aziende, come ogni impresa, ognuno di noi si porta dentro il pignolo, il visionario, il passionale, il fondamentalista e il bambino selvaggio". L'identità non è più dunque un'entità unica e singola, ma è frammentaria, molteplice, è un "pastiche di personalità".

3.1.2. Il fake: definizione e caratteristiche

Nella lingua inglese, il vocabolo "fake" indica "an object that seems genuine but is not", "something completely untrue", "a person who tries to deceive by pretending to be what he is not". Fake indica dunque un falso, un inganno, l'imitazione di qualcosa o qualcuno.

In Rete, il termine si riferisce ai casi di simulazione di un'identità fittizia o di scambio e appropriazione di nickname altrui. Nel cyberspazio, infatti, non sempre i "marchi" che definiscono un'identità sono stabili: "the account header can be faked, identity claims can be false, social cues can be deliberately misleading" (Donath, 1999; p. 15).

Nei newsgroup si possono trovare diversi tipi di fake: alcuni possono essere dannosi per una parte dei membri del newsgroup o per l'intera comunità. Nel primo caso, i fake mirano a mettere in cattiva luce uno o più partecipanti al newsgroup, nel secondo tendono a minare la solidità del gruppo, creando disaccordi e tensioni fra i diversi componenti. Altri fake, invece, vengono messi in atto per il semplice desiderio di fingere, di giocare a recitare una parte, facendo assurgere il newsgroup al ruolo di palcoscenico.

Vi possono essere, inoltre, finzioni vere e proprie, come accade nel caso in cui una persona modifica, online, il proprio genere, la propria età, la propria razza di appartenenza oppure il proprio status sociale. Le possibilità offerte dalla Rete sono infinite e decisamente allettanti. Sperimentare un'identità alternativa, impossibile da simulare nella "vita reale", può dunque rappresentare un'attrattiva irresistibile. In altri casi, invece, si opera una sottile manipolazione delle proprie caratteristiche, simili agli "aggiustamenti" e agli "adattamenti" che si compiono durante la presentazione di se stessi in molte situazioni face to face. Clark (1998) riporta, ad esempio, il caso delle adolescenti americane che tendono a descriversi, in Rete, come più magre, più alte e coi capelli più lunghi e più biondi di quello che sono in realtà.

Solitamente, un fake tende a fornire un'immagine più stereotipata e conforme all'ideale sociale di una specifica categoria di persone, in modo da rendere più credibile la veridicità del proprio personaggio.

Inoltre, un fake viene scoperto solo se rivelato o se le incongruenze manifestate da chi lo attua risultano eccessive e inverosimili (Whitley, 1997). Secondo Wallace (2000), tuttavia, sono rari i casi in cui una persona che mette in atto un fake giunge poi a svelare l'inganno perpetrato: solitamente, quando il gioco non è più intrigante e divertente, o quando si capisce che qualcuno può nutrire sospetti, si tende a svanire nel nulla. "Chi sperimenta una nuova identità in Rete può semplicemente interrompere il collegamento quando la situazione diventa troppo pesante o difficile da controllare" (Wallace, 2000, p. 67). Effettivamente, questa è una grande opportunità offerta da Internet: al di fuori del cyberspazio, infatti, non è sempre così semplice uscire di scena quando le situazioni diventano troppo pericolose o ambigue. "Nella vita reale (…) non è così facile uscire da determinate situazioni: se decidiamo di far parte di una banda malavitosa o di provare a partecipare a una marcia di protesta non sarà altrettanto semplice abbandonare l'esperimento di acquisizione di un'identità diversa. (….) se un uomo sposato fosse visto in un bar frequentato da omosessuali sarebbe impossibile soffocare i pettegolezzi; nella vita reale i nostri esperimenti di identità sono limitati dalle conseguenze, ma non in Internet, dove esse sono molto ridotte" (Wallace, 2000, p. 68).

In Rete, invece, le conseguenze di un inganno di norma sono molto più limitate, anche se non bisogna dimenticare che le "vittime" dei fake sono comunque "persone reali", dotate di emozioni e sentimenti. "Una caratteristica peculiare del mondo di Internet è la facilità con cui è possibile mentire e farla franca, almeno finché riusciamo a convivere con i nostri inganni e con il male che possono causare agli altri" (Wallace, 2000, p. 72).

Emblematica è, a tale proposito, la vicenda accaduta al giornalista di "Wired" Steve Silberman28, il quale ha inscenato un fake per sperimentare una personalità femminile, ma, pur non avendo intenti meschini, ha ferito una persona e ne ha tradito la fiducia.

Le reazioni alla scoperta di essere stati presi in giro da un fake possono, dunque, essere di profonda delusione e amarezza, o persino di rabbia. Paccagnella (2000), tuttavia, afferma che chi scopre di aver interagito con un fake o con un troll deve in seguito porsi alcuni interrogativi: infatti, nel momento in cui inganna i propri interlocutori, il fake non è meno reale di qualunque altra persona. Perché irritarsi, dunque, quando si comprende di aver discusso con una persona che offline non ha un corrispettivo? Sorge spontaneo e immediato il riferimento al test di Turing29: se l'interlocutore riesce ad offrire stimoli di riflessione, se riesce a coinvolgere in una conversazione interessante o in un reciproco e fruttuoso scambio di idee, se dimostra sensibilità e spirito critico, è cosi importante chiedersi se si tratta di un uomo, di una macchina o di un fake? La risposta è piuttosto complessa: la CMC offre strumenti sofisticati per la costruzione e la presentazione della persona online. Le caratteristiche descritte in Rete possono essere simili o minimamente variate rispetto a quelle reali, ma "le circostanze più interessanti si verificano proprio quando l'individuo sfrutta le potenzialità di avventurarsi in territori che non percorrerebbe altrimenti. Può trattarsi di territori verso cui è chiamato da bisogni intimi e inespressi, che lo tratterranno a lungo o addirittura per sempre in quelle zone: per molte persone omosessuali la Rete ha costituito la prima occasione per l'outing, cioè per il dichiarare pubblicamente la propria condizione- e l'outing online ha costituito la prova generale per guadagnare successivamente il coraggio e l'orgoglio di dichiararsi gay anche nella vita di tutti i giorni. Oppure può trattarsi di territori che sono esplorati per pura curiosità e sui quali ci si trattiene per poco: è il caso appunto dei trolls" (Paccagnella, 2000, p. 98).

Di fatto, in Rete, molte persone adottano la "sospensione di giudizio" nei confronti della vera identità dei propri interlocutori e li accettano per quanto sanno offrire di interessante, stimolante e creativo. Tale strategia ha lo scopo non solo di superare il problema delle persone ingannevoli, ma anche il problema del pregiudizio.

3.1.3. Il caso dei MUD: dove fingere è "d'obbligo"

I MUD (Multi User Domains o Multi User Dungeons) sono spazi virtuali, veri e propri "mondi" all'interno dei quali è possibile presentare se stessi come un "personaggio", rimanere totalmente anonimi o recitare una parte che può essere molto simile o completamente diversa rispetto al proprio "sé reale". Il loro scopo è prevalentemente ludico: rappresentano pertanto la trasposizione, online, dei "giochi di ruolo".

I MUD, che sono ambienti di comunicazione sincrona multiutente, rappresentano una forma di comunicazione estremamente articolata e complessa, diversa rispetto alle classiche chat room. Come afferma Roversi (2001): "I MUD (…) sono innanzitutto degli scenari di gioco sviluppati in ambienti "virtuali" nei quali gli utenti possono assumere maschere fittizie e interpretare avventure complesse in base a regole e istruzioni predefinite dagli inventori del gioco (…). Storicamente i MUD non sono altro che un'evoluzione elettronica dei giochi da tavolo e in particolare dei wargame inventati negli anni Cinquanta. (…) Questo tipo di gioco subì una profonda modificazione a metà degli anni Settanta, quando (…) Gary Gygax e Dave Arneson inventarono una nuova forma di gioco di ruolo dal nome Dungeons and Dragons" all'interno del quale "il giocatore si identifica con il personaggio che ha assunto e si "immerge" quasi fisicamente nell'ambiente di gioco" (p. 75).

Il mondo racchiuso da un MUD può essere costruito attorno ad un immaginario paesaggio medievale, ad un'avventura fantastica in cui si possono accumulare punti medianti l'uccisione di mostri e draghi o il ritrovamento di monete d'oro, amuleti e altri tesori. I punteggi si traducono in una crescita di "potere" all'interno della "gerarchia sociale" del gioco. Un secondo tipo di MUD, costituito da spazi relativamente aperti, può essere definito "sociale" in quanto i partecipanti devono interagire con altri giocatori e collaborare alla costruzione di un "mondo virtuale", creando oggetti e ambienti architettonici. "The cultures of Tolkien, Gibson, and Madonna coexist and interact. Authorship is not only displaced from a solitary voice, it is exploded. The MUDs are authored by their players, thousands of people in all, often hundreds of people at a time, all logged on from different places. And the self is not only decentered but multiplied without limit. There is an unparalleled opportunity to play with one's identity and to "try out" new ones" (Turkle, 1996, p. 185).

All'interno di un MUD sociale la dimensione interpretativa e quella partecipativa prendono il sopravvento, poiché ai giocatori è lasciato un margine di interazione più ampio: possono comunicare fra loro sempre più spesso e ciò rende possibile la costruzione di forme particolari di società con codici, regole e interazioni simili a quelle che si trovano offline, nella cosiddetta "vita reale".

I MUD costituiscono dei veri e propri "laboratori di identità" ("identity workshops", Turkle, 1996): al loro interno è possibile essere personaggi di sesso maschile, femminile, oppure "neutro". Ai partecipanti, non solo viene offerta la possibilità di scegliere se assumere il ruolo di un elfo, di un cavaliere medievale, di uno stregone o di un folletto, ma viene anche data l'opportunità di interpretare più personaggi simultaneamente: in un MUD "you are who you pretend to be" (Turkle, 1996).

Nonostante i MUD non costituiscano gli unici luoghi in Rete dove sia possibile giocare con la propria identità, forniscono indubbiamente un'opportunità impareggiabile per tale gioco-esperimento. Possono, infatti, diventare lo sfondo ideale per scoprire ciò che si è o si desidera essere.


3.2. Tipologie di fake

Si possono distinguere diverse tipologie di fake, a seconda della caratteristica o delle molteplici caratteristiche che vengono falsate. È, infatti, possibile che una persona finga di essere di genere opposto, oppure che simuli l'appartenenza ad una razza differente dalla propria, o, ancora, che costruisca un personaggio più giovane o più vecchio rispetto all'effettiva età anagrafica. Vi sono anche casi in cui un individuo decide di impersonare più ruoli, in una sorta di "personalità multipla" simulata. Si analizzeranno ora i differenti casi in cui è possibile riscontrare il fenomeno del fake.

3.2.1. Gender-swapping

Molti autori (Stone, 1995; Turkle, 1995; Whitley, 1997; Danet, 1999; O'Brien, 1999; Suler, 2001) concordano nel ritenere che la tipologia di fake più nota e diffusa sia quella caratterizzata dal cambiare il proprio genere per scoprire che cosa accade: tale fenomeno viene definito gender-swapping o gender-switching. Il gender-swapping è una delle più affascinanti ed intriganti occasioni di emancipazione ed esplorazione della propria identità offerte dalla CMC.

Il cambio di genere, infatti, continua ad essere uno dei tabù più radicati anche nelle società occidentali, all'interno delle quali la scelta di cambiare genere per renderlo coerente con l’identità sessuale viene ancora condannata e spesso punita con la derisione e l’emarginazione. Nell’ambiente elettronico, invece, cambiare il genere sessuale risulta piuttosto semplice. In una chat o in un newsgroup il primo passo può essere semplicemente la scelta di un nickname maschile o femminile, a seconda del caso. In un ambiente grafico, è invece necessario anche disegnare il proprio avatar30 in modo che abbia sembianze del sesso opposto. Secondo Suler (2001): "il gender-swapping è probabilmente molto più diffuso di quanto non si pensi. Chiunque abbastanza familiare con la vita del cyberspazio ne ha sentito parlare o lo ha addirittura provato" (p. 35).

Questa tendenza, che originariamente era tipicamente maschile, è oggi comune a entrambi i sessi31. Il gender-swapping ha causato un sentimento di circospezione e sfiducia fra i netsurfers, soprattutto dopo numerosi casi di persone che, in completa buona fede, hanno investito molto, in termini di affetto, in una relazione virtuale successivamente rivelatasi un'effimera bolla di sapone a causa dell'inganno perpetrato dal proprio interlocutore. Suler (2001) cita, ad esempio, la vicenda di Brad, studente di un college, che incontra in un MOO Natalie e comincia con lei una corrispondenza via email. Il loro rapporto diviene, col passare del tempo, sempre più intimo e confidenziale, fino a che Brad si rende conto che si sta innamorando della ragazza. Quando tuttavia le chiede, sempre più insistentemente, di poterle telefonare, Natalie confessa di essere in realtà un cinquantenne, e non una giovanissima studentessa. Se, da un lato, può essere costruttivo, utile, o semplicemente divertente esplorare l'universo del genere opposto attraverso un travestimento in Rete, dall'altro, bisogna considerare che non è corretto ferire o ingannare gli altri.

L'aumento dei casi simili a quello vissuto da Brad ha portato ad un atteggiamento di maggior cautela e all'adozione di "tecniche precauzionali" per lo smascheramento dei fake. Può dunque accadere di entrare in una chat o di "postare" un messaggio su un newsgroup utilizzando il proprio pseudonimo ed essere letteralmente "assaliti" da domande volte ad indagare la veridicità del proprio genere. Sono state inoltre elaborate vere e proprie strategie implicite di falsificazione, cioè tecniche atte a scoprire l'identità dell'utente più vicina al reale. Come evidenzia Suler (2001) talvolta le donne che suppongono di intrattenere una conversazione con maschi female-switched pongono alla presunta donna domande di carattere intimo e personale relative alla biologia femminile e ai prodotti associati. Dopo aver intervistato un gruppo di 30 donne, Suler (2001) individua quali sono le domande più utili per svelare l'identità di un presunto uomo "travestito" da donna:

Durante le interviste effettuate da Suler, sono emersi alcuni spunti di riflessione a proposito delle domande "indagatorie". Indubbiamente, infatti, molte persone possono provare imbarazzo di fronte a questo tipo di interrogativi o possono percepire l'inchiesta come una sorta di intrusione nella loro privacy. Il bisogno di proteggere i propri sentimenti e le proprie emozioni dagli "inganni virtuali" deve in ogni caso prendere in considerazione i diritti altrui. Sempre secondo Suler (2001), sembra dunque più appropriato porre le domande quando la relazione instaurata giunge ad un punto in cui una persona sente di essere emotivamente coinvolta dal rapporto, ma sospetta che l'"amica" sia in realtà un uomo che sta mettendo in atto un fake. Ancora più controverso appare, invece, il fatto che non tutte le donne conoscono le esatte risposte alle domande: sorgono, quindi, dei dubbi sul fatto che possano esservi tematiche specifiche, che, se conosciute perfettamente, implicano l'appartenenza al genere femminile. Alcune domande, inoltre, non prevedono un'unica risposta corretta, o comunque il tipo di risposta può dipendere dalla cultura d'appartenenza o dalla provenienza geografica. Lo smascheramento di un tentativo di gender-swapping potrebbe allora avvenire riconsiderando il numero di risposte esatte fornite da una persona alla luce dell'atteggiamento con cui risponde: questa persona, ad esempio, può mostrarsi imbarazzata, arrabbiata, sorpresa di fronte a simili domande. Purtroppo anche questa tecnica può rivelarsi fallace in quanto, di fatto, molte volte può risultare impossibile scoprire se una persona sta mentendo.

Un metodo ancora più efficace per scoprire la vera identità del proprio interlocutore consiste nel comunicare telefonicamente o nell'organizzare un incontro faccia a faccia, anche se ciò avviene generalmente dopo lo stabilirsi di una "relazione duratura": è raro, se non improbabile, infatti, che due persone si scambino il numero di telefono o l'indirizzo reale appena si conoscono in Rete. Per la maggior parte delle amicizie nate in Rete, tuttavia, vi è un'evoluzione spontanea che conduce poi al desiderio e alla curiosità di incontrare realmente l'altra persona: in questo caso, se l'"amica" virtuale dovesse rifiutarsi di prendere parte all'incontro, si potrebbe ipotizzare un fake.

Si è riscontrato, comunque, che l'impossibilità di decidere o comprendere subito il genere di appartenenza dei propri interlocutori ha creato fra i netsurfers delle vere e proprie strategie per aggirare la scarsità di informazione tipica del medium. "Accanto al fluire delle parole nelle stanze popolatissime delle diverse chat, esiste un flusso di discorsi atti a costruire il racconto possibile (probabile) di ogni singola emissione digitale. Si sta creando insomma una sorta di metatesto con il compito di sgretolare la maschera testuale dei chatter (…). Dopotutto, vivere è anche un gioco, una continua tensione al disvelamento, alla sottrazione dei veli che coprono le cose" (Pravettoni, 2002, p. 59).

Secondo O'Brien (1999), fra il "popolo della Rete" esisterebbe una sorta di tacito consenso riguardo all'accettabilità del fenomeno del gender-swapping, poiché il cyberspazio è considerato un luogo di sperimentazione.

3.2.2. Fake di razza

Una delle prime domande che vengono poste durante una conversazione virtuale è "Da dove dgt?"32, o "Where are you from?". Spesso, infatti, non si ha alcuna idea a proposito della nazionalità del proprio interlocutore o della sua etnicità, ossia della razza cui appartiene. Anche se l'avvento delle nuove tecnologie sembra annullare le distanze geografiche e, contemporaneamente, le differenze etniche e culturali, sembra che "la preoccupazione del "chi si è" tradotta nel "dove si è", resiste anche nello spazio senza confini di Internet" (Bitti, 2000).

Alcuni autori (Tal, 1996; Poster, 1998) contestano l'utopica visione di McLuhan (1964) e di Turkle (1995), che pensano alla Rete come a un luogo capace di rendere invisibili le connotazioni proprie della razza e del genere. In realtà, si tratta di un'illusione che nasconde un fenomeno più grave, definito "the whitenizing of cyberspace", ossia l'appiattimento della cultura della Rete su un modello unico, promosso da un settore della società americana composto da persone di razza bianca, di classe medio alta e con una buona istruzione, che rischia di escludere tutti gli altri.

Tal (1996) individua nell'esperienza degli afro-americani, con la loro storia ultracentenaria di schiavitù, dislocazione e frammentazione, un modello che anticipa il concetto di persona postmoderno, di cui Turkle (1995) parla come di una novità prodotta dalla diffusione delle nuove tecnologie. L'analogia tra l'esperienza postmoderna e quella degli Afro-Americans è stata invece percepita dagli scrittori cyberpunk, come ad esempio Sterling e Gibson33, che spesso hanno popolato i loro romanzi di elementi provenienti da quella esperienza.

Invece, il "popolo della Rete" descritto da Turkle è costituito prevalentemente dal "white self".

La predominanza di netsurfers di razza bianca, potrebbe dare luogo a due diverse reazioni da parte di persone appartenenti a differenti etnie. Da un lato, potrebbe indurre i cybernauti a falsificare le proprie caratteristiche etniche, fingendosi di razza bianca anziché asiatici, o di colore; dall'altro, potrebbe incitarli ad usare la Rete per favorire una maggiore visibilità delle cosiddette "minoranze". "Quello che ci interessa è come le persone, i cui corpi sono spesso minacciati dalle strutture del potere (minoranze, classi basse, terzo mondo, poveri), stanno usando Internet come una base per rendersi più visibili, per una concreta politica dell'identità, non per la sua scomparsa" (Tal, 1996, p. 2).

In alcuni newsgroup americani34, si sono verificati casi di fake relativi alla razza d'appartenenza: gli Afro-Americans, gli Asian-Americans o gli Hispano-Americans, talvolta celano la loro reale identità etnica per evitare di ricevere insulti o post offensivi da parte degli altri partecipanti, per godere di maggior considerazione, oppure per non essere trattati, anche in Rete, con discriminazione.

3.2.3. Fake di età

Mentre nelle conversazioni face to face ci si rende immediatamente conto che il proprio interlocutore è un ragazzino, piuttosto che un adulto, in Rete è possibile "falsificare" anche la propria età anagrafica, presentandosi come una persona più giovane o più anziana di ciò che si è in realtà. Spesso, sono gli adolescenti che, ad esempio, per rendersi più credibili all'interno di un newsgroup, o per permettere che le informazioni riportate nella loro homepage siano ritenute veritiere, dichiarano un'età superiore a quella reale. Beaudouin e Velkovska (1999) citano il caso di un ragazzino di sedici anni che ha creato una homepage sugli aerei usati durante la seconda guerra mondiale e per essere preso sul serio ha omesso i propri anni. "Moi, je vais pas mettre sur ma page que j'ai seize ans, parce qu'il y aurait moins de gens qui m'ecriraient (…). Parce qu'ils n'iront même pas voir, ils se diront: <bon, c'est un garçon de seize ans qui a fait ça, donc ça doit pas être trés approfondi>" (Beaudouin e Velkovska, 1999, p. 147).

In alcuni newsgroup accade talvolta che persone esperte e preparate relativamente ad un argomento non siano studiosi e cultori della materia, come pensa la maggior parte dei membri della comunità, ma siano in realtà adolescenti, desiderosi di poter partecipare alle discussioni senza il rischio di essere presi in giro o di non essere considerati affidabili e credibili a causa della loro età. Un adolescente può mettere in atto un fake omettendo l'età o mentendo relativamente ad essa, per poter comunicare "alla pari" con gli adulti, o per poter accedere più liberamente alle stesse "attività virtuali" alle quali hanno accesso gli adulti, come ad esempio il cybersex. Un caso di questo genere è raccontato nel film "Viol@" (1998) di Donatella Maiorca, che narra la vicenda di una donna che si innamora di un "uomo" conosciuto in chat, col quale pratica sesso virtuale. Il fantomatico sconosciuto si rivelerà essere, però, un ragazzino, che si divertiva a giocare in Rete con la propria identità.

3.2.4. I troll

Si definisce trolling un gioco di finzione messo in atto per deridere o danneggiare i partecipanti ad un "gruppo virtuale". "trolling is where you set your fishing lines in the water and then slowly go back and forth dragging the bait and hoping for a bite. trolling on the Net is the same concept- someone baits a post and then waits for the bite on the line and then enjoys the ensuing fight" (Donath, 1999, p. 6). I troll, dunque, sono solitamente creati per divertimento o per prendere in giro qualcuno. All'interno di una comunità virtuale, il sospetto di essere un troll grava in genere su persone comparse da poco che per le loro caratteristiche provocatorie finiscono spesso per causare accesi litigi o vere e proprie flame wars35.

Alcune volte il troll tenta, almeno inizialmente, di passare per un legittimo partecipante del newsgroup, fingendo di condividere gli interessi comuni agli altri membri e partecipando alle discussioni della comunità virtuale. Generalmente, i membri di un newsgroup, consapevoli dell'esistenza dei troll, cercano di operare una distinzione tra messaggi reali e fittizi e, nel caso in cui un post sia giudicato falso e non attendibile, fanno in modo di estromettere dal gruppo il presunto troll.

La presenza di un troll in un newsgroup può essere dannosa per diversi motivi:

Talvolta, in gruppi che hanno subìto diversi tentativi di trolling, alcuni post inviati da nuovi partecipanti possono, a priori, essere considerati falsi. Ciò può risultare negativo per un newbie che, al suo primo messaggio, viene immediatamente "bombardato" da accuse aggressive e insulti: infatti, essere etichettato come troll è spesso dannoso per la reputazione online di una persona, anche nel caso in cui si tratta di un'accusa infondata.

Un tipico comportamento da troll consiste di solito nel "postare" un messaggio, con "tono" calmo e posato, dal contenuto totalmente contrastante con le discussioni del newsgroup. Paccagnella (2000) cita, ad esempio, il chiedere informazioni sulla migliore marca di un fucile da caccia in una conferenza elettronica dedicata all'ambientalismo. Un altro esempio potrebbe essere dato dal "postare" battute o insulti nei confronti di una squadra di calcio in un newsgroup di tifosi della squadra stessa. Un altro comportamento caratteristico di un troll potrebbe essere il "postare" volontariamente informazioni errate.

Le reazioni da parte dei membri di una comunità virtuale possono essere differenti. Generalmente, specie se un troll opera per sobillare gli animi dei membri del newsgroup, si è tentati di rispondere all'"attacco": questo comportamento può causare un allontanamento delle discussioni dal topic e può risultare dannoso per la coesione del gruppo. Invece, molti newsgroup tendono ad ignorare i messaggi falsi, sia per mantenere stabile l'argomento di discussione, sia per scoraggiare il troll, ostentando indifferenza.

Nonostante sia abbastanza semplice dare vita ad un troll, secondo Whitley (1997) il fenomeno ha in genere vita breve e ciò testimonierebbe la significatività delle esperienze online e l'esigenza di attribuire loro un senso attraverso un'integrazione nella propria personalità.

3.2.5. La "personificazione"

Una forma particolarmente "pericolosa" di fake è la "personificazione" (impersonation). In questo caso, l'identità di una persona è gravemente minacciata e la sua reputazione può essere compromessa. In Rete, rispetto alle situazioni offline, è relativamente semplice fingersi qualcun altro e "prendere il suo posto". In un newsgroup, è possibile inviare post fingendo di essere un altro partecipante, per mettere in cattiva luce nei confronti del gruppo questa persona. Poiché in Rete la costanza dell'identità sta alla base delle interazioni non occasionali, in chat, in un gruppo virtuale e in altri ambienti di tipo testuale, perdere il nickname significa perdere questa costanza. Lo pseudonimo, infatti, rende possibile una certa stabilità nei ruoli assunti all'interno dei gruppi: l'appropriazione del proprio nick da parte di un'altra persona è percepita, dunque, come un vero e proprio "furto d'identità" e spesso viene punita con l'espulsione dal canale o dal gruppo stesso.

È chiaro che il successo e la riuscita di una "personificazione" dipende dal valore diffamatorio dei post fasulli e dal credito loro attribuito dagli altri partecipanti. La "vittima" generalmente invia un messaggio per svelare l'inganno; poiché i post di un newsgroup possono essere letti non necessariamente in sequenza, alcuni membri del gruppo possono perdere il messaggio che rivela la falsificazione. Ciò accade soprattutto se il fake dà luogo ad una flame war: molti partecipanti eviteranno allora di leggere tutto il thread36 e, di conseguenza, i messaggi postati dalla "vittima" potranno essere accuratamente evitati (Donath, 1999).

3.2.6. Personalità multipla online e offline: fra gioco e patologia

In psichiatria, una delle patologie più controverse è senza dubbio il disturbo di personalità multipla, o disturbo dissociativo dell'identità. Il DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) elenca quattro sintomi principali che contraddistinguono questo disturbo:

  1. Presenza di due o più identità o stati della personalità distinti.
  2. Almeno due di queste identità o stati della personalità assumono alternativamente il controllo del comportamento della persona.
  3. L'incapacità a ricordare importanti informazioni personali è decisamente eccessiva per poter essere spiegata come una normale dimenticanza.
  4. Non è causata dagli effetti diretti di sostanze (ad esempio, amnesie temporanee o comportamento caotico durante l'intossicazione alcolica) o da una condizione generica di interesse internistico (ad esempio, epilessia parziale complessa).

La personalità di un paziente affetto da questo disturbo rappresenta la somma di tutte "le personalità" e delle loro interazioni reciproche (Putnam, 1989). Le diverse "personalità" nascono con un fine adattativo seguendo una modalità secondo la quale i pazienti si convincono che il trauma infantile stia accadendo a "qualcun altro". Queste "personalità" raggiungono rapidamente delle forme secondarie di autonomia e possono mantenere una credenza, quasi in maniera delirante, nella loro separatezza al punto di credere di potersi comportare in modo autodistruttivo, senza farsi male realmente (Kluft, 1991). Le altre personalità presentano diversità nella manualità, nella grafia e nella voce. Si è inoltre dimostrato (per mezzo di elettroencefalogrammi spontanei) che esiste un'attività cerebrale differenziata e vi sono notevoli differenze visive passando da una personalità all'altra (Miller, 1989).

Nella "vita reale", dunque, la personalità multipla è considerata patologica, poiché causa il venir meno dell'unicità dell'identità socialmente costruita. Come evidenzia Pravettoni (2002) "la nostra identità è fortemente sanzionata dalla struttura sociale" (p. 53). Ogni persona fisica è unica, si materializza in un unico corpo, possiede impronte digitali uniche, è contraddistinta da un unico codice fiscale. offline prevale dunque l'equazione: "una sola persona (lità) per un solo corpo" (Pravettoni, 2002, p. 53).

In Rete, invece, l'identità multipla non solo è "consentita", ma può addirittura diventare l'unica modalità di presentazione possibile. Poiché online siamo ciò che scriviamo, la nostra soggettività può virtualmente "scindersi" in ciascun personaggio che decidiamo di raccontare e/o interpretare. Si ha l'opportunità di simulare nuove identità e di dissimulare quella sancita dall'apparato sociale. Nel cyberspazio non viene considerato patologico sdoppiarsi in diverse personalità: "non è patologico immaginare, né lo è scrivere i propri racconti fantastici: si tratta di una modalità espressiva che gli scrittori congelano nei romanzi, mentre i cybernauti fluidificano nella dimensione virtuale dell'interazione telematica" (Pravettoni, 2002, p. 53). Nello spazio virtuale la soggettività dipende dall'interazione tra se stessi e un ambiente soggettivamente attivo, ossia in grado di attivare e sostenere le soggettività che l'individuo decide di mettere in atto.

Rheingold (1993) afferma: "Viviamo nei cervelli l'uno dell'altro, come voci, immagini, parole sullo schermo. Siamo personalità multiple e ci comprendiamo a vicenda" . Nella cybersocietà di The WELL viene considerata positivamente l'identità come molteplicità. Tale molteplicità, tuttavia, non è vivibile se significa muoversi tra personalità incapaci di comunicare tra loro, come avviene nel caso di un disturbo dissociativo.

La Rete consente di rappresentare la molteplicità insita in ciascuna persona; anche offline ci si "moltiplica" in ruoli diversi. Secondo Suler (2001), i diversi aspetti di ciò che si è nella "vita reale", online possono essere:

In psicologia sociale la teoria dei ruoli sostiene che una vita gratificante, serena e di successo consiste nella capacità acquisita di gestire i numerosi compiti e di interpretare le situazioni più diverse (Turkle, 1995). Le modalità di "vita" nel cyberspazio rappresenterebbero quindi tale capacità di flessibilità e adattamento applicata all'interno di un nuovo ambiente, nel quale l'individuo può focalizzarsi più attentamente su alcuni aspetti del proprio sé e svilupparne alcuni non agibili offline, a causa dei costi sociali che un simile acting out potrebbe provocare.

Suler (2001) sottolinea comunque che la capacità di integrare in un'unità armoniosa le componenti online e offline del sé è indice di una buona salute mentale. La personalità multipla in Rete potrebbe rappresentare la realizzazione di un principio di integrazione totale, reso possibile dal medium, che si esplica, nella "vita reale", in una nuova percezione di se stessi. Com'è possibile, tuttavia, essere multipli e, nel contempo, coerenti? Nel suo libro "The Protean Self" (1993), Lifton sostiene che la vecchia concezione unitaria del sé non è più accettabile, a causa del crollo della cultura tradizionale. Lifton intravede la possibilità di un sé multiplo, eppure integrato, un sé proteiforme, ossia capace, come Proteo , di trasformazioni fluide, ma nel contempo ben fondato su coerenza e prospettiva morale. Si potrebbe dunque pensare ad un sé flessibile, che presenti sia un'essenza non unitaria, che parti stabili; un sé in cui sia facile passare da uno all'altro dei suoi diversi aspetti, che mutano continuamente attraverso una costante comunicazione reciproca. Le esperienze che si possono vivere all'interno delle bacheche elettroniche, dei newsgroup, delle chat, dei MUD, in una parola, all'interno della immensa Rete sembrano concretizzare la teoria proposta da Lifton (Turkle, 1995).

Stone (1995) afferma che la concezione di identità come molteplicità si diffonde attualmente anche grazie alle nuove tecnologie, in cui l'identità è, quasi per definizione, molteplice. Le personae virtuali rappresentano oggetti con cui pensare. Quando si decide di interpretare un personaggio online, inscenando un fake o creando un avatar all'interno di un MUD, "si oltrepassa il confine e ci si addentra in un territorio iper-saturo" (Turkle, 1995, p. 391). Ciò può causare in alcune persone uno sgradevole senso di frammentarietà, in altre un senso di sollievo quasi catartico.


3.3. Perché si mette in atto il fake

Premessa

Da un questionario somministrato nella primavera del 2001 a studenti universitari dell'Università Cattolica e del Politecnico di Milano volto ad indagare il rapporto tra i giovani e la Rete, sono emersi alcuni dati interessanti riguardo il fenomeno del fake.

Tra i 401 soggetti, 85 sanno cos'è un newsgroup, ma non hanno mai scritto nulla.

Fra i 33 soggetti che hanno dichiarato di sapere cos'è un newsgroup e di avervi partecipato, ben 25 (circa il 76%) ha ammesso di aver simulato un'identità fittizia. Nonostante circa la metà non abbia fornito le motivazioni che li inducono a mettere in atto un fake, fra coloro che hanno risposto emerge che:

Si analizzeranno ora i motivi principali che sembrano indurre alcuni netsurfers a simulare un'identità diversa dalla propria.

3.3.1. Sperimentazione degli aspetti del sé

Attuare un fake spesso può servire a sperimentare nuove parti di sé che non riescono a manifestarsi offline, oppure può costituire un modo per costruirsi a poco a poco un'identità stabile. Quest'ultimo è un caso che riguarda soprattutto gli adolescenti, i quali possono creare, in Rete, personaggi fittizi per favorire lo sviluppo del sé. Internet, e la sperimentazione di identità sempre nuove e diverse, può fornire agli adolescenti lo spazio per vivere in modo nuovo la cosiddetta "moratoria psicosociale" (Erikson, 1963), cioè quel periodo caratterizzato dalla temporanea sospensione delle scelte esistenziali definitive e vincolanti e dominato invece da interazioni intense con la gente e con le idee, da amicizie appassionate e da sperimentazioni di esperienze e ruoli diversi. La moratoria adolescenziale facilita lo sviluppo del senso personale, di ciò che dà significato alla vita. offline, tuttavia, la moratoria non è mai assoluta, in quanto la sperimentazione comporta sempre dei rischi (Oliverio Ferraris, Malavasi, 2001). Al contrario, le comunità virtuali costituiscono uno spazio in cui la moratoria può essere assoluta e priva di pericoli: in Rete, infatti, un adolescente può osare di più, giocare con i ruoli che preferisce, indossare ogni volta una maschera diversa, mettersi alla prova negli scenari più svariati e sperimentare sé alternativi. Con Internet, dunque, si ha a disposizione un nuovo palcoscenico su cui muoversi senza rischi e senza problemi.

Oliverio Ferraris e Malavasi (2001) raccontano l'esperienza di una ragazzina di tredici anni, che usa la chat come strumento di introspezione e di esplorazione dell'identità.

Il "mondo virtuale" potrebbe essere metaforicamente visto come una palestra, in cui esercitarsi a sperimentare i vari aspetti di sé, per potenziare le qualità positive e riuscire, quindi, a farle emergere anche offline.

Le esperienze in Rete possono aiutare a migliorare la propria persona, a conoscersi meglio, a esplorare nuove parti di sé prima ignote (Stone, 1995; Turkle, 1995; Suler, 2001).

"Il virtuale (…) può essere la zattera, la scala, lo spazio transitorio, la moratoria, situazioni che vanno abbandonate dopo aver raggiunto una maggiore libertà. Non dobbiamo rifiutare la nostra vita sullo schermo, ma neppure è il caso di considerarla come una vita alternativa. Possiamo usarla come uno spazio di crescita. Avendo messo per iscritto l'esistenza delle nostre personalità online, diveniamo molto più consapevoli di quel che stiamo proiettando nella vita quotidiana. Come l'antropologo che torna a casa dopo l'immersione in un'altra cultura, chi viaggia nel virtuale può tornare nel mondo reale meglio attrezzato per capirne gli artifici" (Turkle, 1995, p. 396).

3.3.2. Il gioco della seduzione

La scrittura in Rete è estremamente tattile e partecipativa, tanto che quando una persona interagisce in un ambiente virtuale attraverso la tastiera, "in realtà tutto il suo essere passionale è coinvolto nell'interazione" (Pravettoni, 2002, p. 86). La comunicazione mediata dal computer è una comunicazione in cui il tatto introduce l'individuo nel mondo virtuale. Se è vero che comunicando face to face ci si può dare la mano, abbracciare, "sentirsi" fisicamente grazie alla ricchezza degli elementi comunicativi non verbali, è altrettanto vero che negli spazi puramente testuali presenti in Rete, la percezione della propria personalità e di quella dell'altro è di un individuo che si muove in un luogo sentito come concreto. Quando si "chatta", si è costantemente in movimento: questo movimento e le emozioni che ne derivano costituiscono la realtà dell'interazione virtuale. "Non digitiamo per comunicare ma comunichiamo per digitare. Per esistere oltre la tastiera. Per essere reali anche al di là dello schermo. E, volendo, (….) per sedurre" (Pravettoni, 2002, p. 88).

Secondo la psicologia, sedurre37 è un modo di compensare un bisogno, generalmente riguardante l'autostima e l'autopercezione. Avere successo in un processo di seduzione significa essere in grado di valere sull'altro, di produrre un valore che diviene oggetto del desiderio altrui. Non sempre, tuttavia, si seduce per gratificare un bisogno: molte persone lo fanno perché lo considerano divertente, un gioco, un'emozione intellettuale, persino una sfida.

L'accezione ludica della seduzione induce a pensare al comportamento di Don Giovanni: egli, nel momento in cui si è consumata la seduzione, sente un bisogno quasi compulsivo di passare ad un nuovo atto seduttivo. Seducendo si risolve un bisogno comportamentale, che consiste nell'entrare in contatto con altre persone, senza che il contatto conduca ad una conoscenza definitiva. Si seduce per continuare a sedurre. Il grande palcoscenico virtuale rappresentato da Internet è terreno fertile per un simile atteggiamento: di fatto, è a tutti possibile essere un "Don Giovanni virtuale", un seduttore incallito e senza scrupoli, peraltro senza rischi, grazie all'anonimato, o piuttosto grazie alla maschera che si decide di indossare. Del resto, giocare con la seduzione significa giocare con la propria persona online, con la rappresentazione che si mette in scena nell'immenso "teatro virtuale" costituito dalla Rete.

Secondo Pravettoni (2002) è possibile riscontrare nel cyberspazio due categorie principali di seduttori:

In Rete, la seduzione rappresenta una strategia di "avvicinamento" di sé all'altro e dell'altro a sé. In una chat o in un newsgroup può capitare di imbattersi in un nickname curioso, o in una firma intrigante, o ancora si può rimanere "affascinati" dallo stile che caratterizza i post di un utente o dal suo modo di "chiacchierare". Si cerca allora di avvicinarsi a questa persona e di conoscerla meglio attraverso ripetute conversazioni sul newsgroup o attraverso lo scambio di email.

Per "farsi sentire", per contraddistinguersi fra i numerosi netsurfers che popolano la Rete, è necessario mostrare un'immagine interessante e brillante, attraverso le proprie competenze comunicative. Il desiderio di "emergere", di apparire intriganti, di esercitare un certo fascino sul proprio interlocutore "virtuale", può indurre ad inscenare un vero e proprio fake, o a modificare in modo più o meno accentuato alcune caratteristiche personali. In particolare, in questi casi, può accadere di mentire riguardo alla propria età anagrafica: un'adolescente può fingersi una donna e sperimentare le sue abilità seduttive, il suo "potere ammaliatore" nei confronti degli uomini. Lo stesso può accadere nel caso opposto: un ragazzino tenta di sedurre ragazze o donne più grandi fingendosi un adulto.

Oppure, è possibile mentire riguardo alle proprie caratteristiche fisiche, per fornire un'immagine di sé più affascinante e desiderabile, attraverso la tendenza ad enfatizzare alcuni aspetti estetici di sé. È inoltre possibile mostrarsi più intraprendenti e disinibiti di quello che si è in realtà. Può infatti accadere che una persona molto timida e riservata offline sfrutti la Rete per mostrarsi maggiormente estroversa, scegliendo uno pseudonimo allusivo o provocante e utilizzando un linguaggio molto diretto ed esplicito per sedurre gli altri cybernauti.

3.3.3. Le motivazioni che inducono al gender-swapping

3.3.3.1. Perché un uomo sceglie di attuare un female-switching

Molti uomini inscenano in Rete un ruolo femminile (O'Brien, 1999; Suler, 2001):

3.3.3.2. Perché una donna sceglie di attuare un male-switching

Anche se in misura minore, il fenomeno del travestimento online coinvolge anche le donne, le quali sono spinte dalle seguenti motivazioni:

3.3.4. Compensazione

Il cyberspazio rappresenta, per alcune persone, una sorta di "fuga" dalla monotonia o dai problemi della "vita reale" (Turkle, 1995). Non solo, costituisce anche un luogo in cui è possibile far emergere competenze e qualità che offline rimangono celate. La Rete diviene allora, grazie ai mezzi che mette a disposizione e alle opportunità che offre, una sorta di spazio di "compensazione" di eventuali carenze e limitazioni presenti nella "vita reale". "Ognuno di noi è incompleto, a suo modo. L'ambiente virtuale può fornirci la sicurezza necessaria per poter manifestare quel che ci manca, in modo da iniziare ad accettarci così come siamo" (Turkle, 1995, p. 396).

Una persona che offline è riservata, timida e poco socievole può rivelarsi, grazie a notevoli abilità comunicative in Rete, un leader, un abile "oratore" e può così riuscire a catalizzare l'attenzione su di sé all'interno di una comunità virtuale.

In particolare, all'interno dei MUD, dove è possibile creare non solo un personaggio, ma anche un vero e proprio "ambiente virtuale", le mancanze della vita quotidiana possono essere ampiamente colmate. Turkle (1995; 1996) presenta numerosi casi di ragazzi che cercano una sorta di "via di fuga" all'interno dei MUD.

L'ambiente virtuale può allora rappresentare un medium per una scalata sociale fittizia, per compensare il senso di insicurezza economica che pervade i giovani alla ricerca di un lavoro. È il caso di Josh, un giovane diplomato in marketing al college, e costretto ad accettare un impiego "minore" in un campo diverso da quello dei suoi studi. In contrasto con la sua vita reale, che considera noiosa e priva di prospettive, la sua esistenza nel MUD gli appare ricca di promesse. All'interno dei MUD, infatti, egli diviene in breve tempo una sorta di consulente per partecipanti meno esperti; in alcuni ambienti virtuali è persino riuscito ad ottenere i privilegi riservati agli amministratori di sistema (i cosiddetti wizard).

Il fake, o l'assunzione di un ruolo, di un avatar all'interno di uno spazio virtuale, può dunque essere motivato anche dal desiderio di sperimentare, almeno virtualmente, un'esistenza alternativa, migliore e compensatoria. Nel momento in cui si accende il computer, ci si può sentire un'altra persona, si può recitare un film molto più avvincente e intrigante rispetto alla quotidiana monotonia.

3.3.5. Quando il gioco diviene pericoloso: fake e pedofilia

Si sono finora analizzati, fra i motivi che inducono alcuni internauti a mettere in atto un fake, gli aspetti di gioco, di compensazione, di sperimentazione di nuove parti di sé. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che l'opportunità offerta dalla Rete di crearsi una maschera o un'identità fittizia può essere utilizzata per fini più pericolosi e può avere conseguenze molto gravi. Internet, infatti, oltre ad essere un utilissimo e importantissimo mezzo di comunicazione e di scambio di informazioni, ha reso possibile "lo sviluppo di una nuova dimensione organizzata della pedofilia collegando pedofili di tutto il mondo" (Strano, 2001, p. 133). Attraverso la Rete è possibile che avvenga uno scambio di materiale pornografico o di messaggi, oppure è possibile che si costituiscano vere e proprie organizzazioni formate da pedofili.

Inoltre può accadere, talvolta, che i pedofili, protetti da un certo grado di anonimato o da un nickname e un'identità fittizi, cerchino di adescare i minori in Rete. Gli ambienti virtuali maggiormente a rischio sembrano essere, da questo punto di vista, le chat. Dagli Atti del Convegno "Libertà e sessualità" tenutosi a Roma nel giugno 1999, emerge che: " I minori che si aggirano nei parchi telematici delle chat-lines per curiosità o in cerca di amicizia potrebbero imbattersi in malintenzionati pronti a fare promesse (regali da inviare al malcapitato che imprudentemente dà il proprio indirizzo), lusinghe ("scommetto che sei carina"…) (……). Diversi studi hanno tra l'altro indagato l'uso che nella prima adolescenza viene fatto del computer quale tramite per conoscere meglio l'altro sesso, dal punto di vista conversazionale, immaginativo ed emotivo, per sperimentare, tramite la conoscenza dell'altro, diverse identità fino a costruirne una propria, definitiva. L'infinita potenzialità di sperimentazione che offre Internet farebbe insomma buon gioco alla curiosità di una personalità in divenire com'è quella dei giovani. Secondo un'indagine di Sherry Turkle (1996) infatti, questi considerano quelle che sono le caratteristiche di Internet che destano maggiori preoccupazioni, come l'anonimato, la possibilità di scollegarsi quando il gioco diventa difficile da reggersi, la possibilità di assumere l'identità che si desidera e quindi avere rapporti "alla pari" anche con persone di età e sesso diverso, come aspetti funzionali a una maggiore disinibizione e variabili che svincolerebbero quindi la conversazione online dalle tensioni che caratterizzano generalmente le comunicazioni faccia a faccia. (…..) l'assenza di mediazione sociale e quindi di un'identificazione visiva certa può rappresentare anche un elemento facilitatore per lo stabilirsi di un contatto iniziale tra pedofilo e potenziale vittima".

Un adolescente ingenuo, curioso, poco avveduto riguardo alle possibilità di inganno, potrebbe incontrare in Rete un pedofilo sotto false sembianze e addirittura lasciarsi convincere ad organizzare un incontro offline. Non sono infrequenti casi in cui i pedofili si fingono adolescenti, oppure mostrano le stesse preferenze e i medesimi interessi del proprio interlocutore, per indurlo ad un incontro al di fuori del mondo virtuale.

Bisogna dunque ricordare che le grandi possibilità di trasformazione, mascheramento e cambio di identità offerte dalla Rete oltre ad essere un gioco divertente, intrigante e ammaliante possono costituire un reale pericolo se messe in atto con cattive intenzioni ai danni delle categorie più deboli.

3.4. Alcuni casi di fake presenti in letteratura

3.4.1. Il caso dell'amante elettronico o dello "psichiatra travestito"39

Uno dei primi e più celebri esempi documentati di fake, riportato da numerosi autori (Stone, 1991, 1995; Van Gelder, 1991, 1996; Turkle, 1996; Whitley, 1997; Danet, 1998; O'Brien, 1999), è il cosiddetto "caso dell'amante elettronico" o dello "psichiatra travestito". Nella cultura cyber questa vicenda è diventata una sorta di leggenda e come tale ne esistono versioni differenti.

Il caso è stato presentato inizialmente da Van Gelder (1991; 1996) e da Stone (1995), che usano nomi diversi per designare le persone coinvolte nella vicenda. Il protagonista è uno psichiatra di New York di nome Sanford Lewin (Stone, 1995) o, Alex secondo Van Gelder e altri autori. Nei primi mesi del 1982, Lewin/Alex si iscrisse alla chat line CB di CompuServe e adottò lo pseudonimo di "Dottore", facendo riferimento alla propria professione. Inizialmente, non si accorse del carattere neutro, dal punto di vista del genere, del nickname scelto. Gli capitò, tuttavia, di trovarsi coinvolto in una discussione generale in uno spazio virtuale pubblico. Nel corso di questo dibattito intraprese una conversazione interessante con una donna. D'accordo con lei decise di continuare il dialogo in uno "spazio privato": dopo alcuni minuti, Lewin/Alex si rese conto che la sua interlocutrice era convinta di conversare con una psichiatra donna. Improvvisamente, comprese perché durante le proprie conversazioni face to face con le donne avesse sempre avvertito l'assenza di qualche elemento: la conversazione che stava sperimentando in quel momento era più profonda, aperta e spontanea rispetto alle precedenti. Stone (1995) riporta le dichiarazioni dello psichiatra: "Rimasi colpito dal suo modo di conversare. Non pensavo che le donne si aprissero così tanto tra loro. Era molto più vulnerabile, molto più profonda e complessa. Così mi sono detto, ecco un'ottima occasione per aiutare delle persone, per coglierle nel momento in cui abbassano le loro normali difese e sono più disponibili ad ascoltare quello che hanno bisogno di sentirsi dire" (p. 86).

Lewin/Alex pensò dunque di usare le chat per fare del bene come psichiatra; tuttavia, sedotto dall'idea di interagire "con altre donne in quanto donna", decise di assumere un'identità femminile per provare la sensazione di essere donna in modo profondo. Il suo proposito iniziale di aiutare le altre donne fingendosi una psichiatra online si trasformò in qualcosa di decisamente diverso. Lewin/Alex aprì un account con il nome di Julie Graham40 e costruì dettagliatamente questa nuova identità: il suo personaggio doveva essere sempre disponibile online, ma nel contempo irreperibile offline, poiché la vera identità non doveva essere svelata. Il personaggio di Julie/Joan comparve in chat per la prima volta nel giugno del 1982. Julie/Joan si presentò come una neuropsicologa di New York che era rimasta vittima di un terribile incidente automobilistico, provocato da un ubriaco, durante il quale il suo compagno era morto, mentre lei era sopravvissuta, riportando, però, gravi danni neurologici alla testa e alla spina dorsale. In particolare, era diventata muta e paraplegica41, il suo viso era rimasto sfigurato a tal punto che non era neppure possibile effettuare un intervento di chirurgia plastica. Per questo motivo, la sua vita sociale si era praticamente annullata: era diventata una "reclusa", aveva pensato al suicidio, fino a che un'amica le aveva regalato un computer e le aveva fatto conoscere CompuServe. Pur essendo molto elaborata e dettagliata, la storia inventata da Lewin/Alex presentava di tanto in tanto qualche piccola incongruenza, che provocò la nascita dei primi sospetti fra gli utenti della chat.

Dopo le prime conversazioni online, Julie/Joan iniziò a dire che la sua vita stava cambiando, che il rapporto con le altre donne in Rete le era di aiuto nell'affrontare e nel rielaborare la propria situazione personale: infatti, aveva smesso di pensare al suicidio e aveva iniziato a fare alcuni progetti.

Inoltre, col passare del tempo, Julie/Joan diventò sempre più provocante e trasgressiva: si divertiva, in quanto atea, ad attaccare qualsiasi religione; fumava erba; era bisessuale e talvolta faceva proposte alle donne e agli uomini con cui parlava, fino ad arrivare a tentare di convincere molti dei suoi amici a praticare sesso virtuale con lei. Decise addirittura di modificare il proprio nickname per celebrare il ritorno ad una vita sociale più attiva, almeno online. Tuttavia, mentre in Rete il suo profilo sociale cresceva sempre di più, nella "vita reale" era ancora irraggiungibile e nonostante ripetuti e calorosi inviti, non partecipava mai ad incontri e feste organizzati dagli altri utenti, poiché sosteneva di provare ancora eccessiva vergogna per il proprio volto sfigurato.

In seguito, Julie/Joan fondò su CompuServe un gruppo di discussione per donne: i suoi consigli furono molto utili per molte delle donne con cui Julie/Joan conversava. Aiutò donne con pensieri suicidi, con problemi di dipendenza da droga o da farmaci: si comportò, quindi, come una saggia consigliera e un'amica affettuosa e disponibile. Si impegnò anche a smascherare i corteggiatori delle chat, in particolare gli uomini che si fingevano donne, mettendo in guardia le amiche sul pericolo di abbassare le difese in Rete: "Ricordatevi di stare attente, le cose possono essere diverse da come sembrano".

Julie/Joan raccontò poi che stava cercando di superare l'odio per i guidatori ubriachi accompagnando le pattuglie di sorveglianza della polizia stradale. Durante una di queste uscite, Julie/Joan conobbe un giovane poliziotto, John (nella versione proposta da Van Gelder, invece, l'ufficiale di polizia si chiamava Jack Carr), che, nonostante la paralisi e il volto sfigurato della donna, si innamorò di lei e le chiese di sposarlo. Il ricevimento avvenne online, con brindisi e auguri da parte di tutti gli amici dai siti più lontani della nazione. Julie/Joan e John annunciarono che sarebbero partiti per la Grecia in viaggio di nozze e in quell'occasione furono spedite cartoline reali agli amici e ai conoscenti "virtuali". John divenne ben presto il prototipo del marito perfetto, sempre disponibile, comprensivo, amorevole e affettuoso. Talvolta, anche lui conversava in chat con gli amici di Julie/Joan.

Anche in ambito professionale la vita di Julie/Joan subì un netto miglioramento: iniziò a tenere conferenze in tutti gli Stati Uniti e in Europa; inoltre, progettò di insegnare all'università attraverso un computer.

In quel periodo, però, iniziarono i primi sospetti da parte degli amici conosciuti in Rete: se partecipava ai convegni, doveva mostrare il suo volto, così come durante le lunghe vacanze che raccontava di trascorrere col marito. Le contraddizioni erano sempre più numerose. Inoltre, soltanto gli amici conosciuti in Rete non riuscivano mai ad incontrarla. I sospetti maggiori nacquero, tuttavia, fra le altre donne disabili, che conoscevano perfettamente i disagi e i problemi della loro condizione: non si trattava di essere "diversamente abili", come sosteneva Julie/Joan, ma di affrontare le difficoltà dei rapporti sociali quotidiani. Per loro era già faticoso instaurare un sincero rapporto d'amicizia e quasi impossibile iniziare un rapporto sentimentale, quindi la storia d'amore di Julie/Joan e John sembrava troppo perfetta e romanzata. Tuttavia, pensavano che la donna mentisse soltanto quando parlava della propria vita sentimentale e dei viaggi: nessuno arrivò a dubitare del suo genere e delle sue reali condizioni fisiche.

"It was the disabled women online who figured it out first. "Some things about her condition were very farfetched", says one. Says another woman: "The husband, the accomplishments- it just didn't ring true from the beginning". But her own hunch wasn't that Joan was male or able-bodied; she suspected that she was in fact a disabled woman who was pretending to have a life of dazzling romances and success" (Van Gelder, 1996, p. 542).

Lo stesso Lewin/Alex, però, iniziò a sentirsi a disagio: quando aveva dato inizio al suo fake, non aveva certo preventivato un tale successo. Aveva previsto di crearsi qualche amicizia online, di poter offrire consigli alle donne, invece aveva scoperto di essere coinvolto profondamente nello sviluppo di una nuova parte di sé, di cui aveva sempre ignorato l'esistenza. Lewin/Alex stava diventando Julie/Joan. Infatti, Julie/Joan aveva ormai una personalità indipendente, con idee e finalità proprie. "Non si trattava tanto di perdere la propria identità, quanto di svilupparne una parallela e considerevolmente forte. Jekyll e Julie. Quando le amicizie di Julie si approfondirono e contemporaneamente la finzione cominciò a svelarsi, Lewin si rese conto dell'enormità dell'inganno" (Stone, 1995, p. 91).

Lewin/Alex pensò allora di far morire Julie/Joan: John si collegò a CompuServe e informò gli amici "virtuali" che Julie/Joan era seriamente ammalata e stava per morire. Tutto ciò causò un impatto notevole che lo psichiatra non aveva neppure lontanamente immaginato: venne sommerso da messaggi di shock, dolore e solidarietà; non solo, i numerosi amici online si prodigarono addirittura in offerte di assistenza medica e finanziaria. L'enormità dell'impatto convinse Lewin/Alex a desistere dal proprio proposito: Julie/Joan si riprese e tornò a casa e questo avvenimento causò gioia e sollievo in Rete.

Tuttavia, la messinscena perpetrata da Lewin/Alex contribuì a rilevare un'altra incongruenza: un amico, infatti, era riuscito a scoprire il nome dell'ospedale in cui Julie avrebbe dovuto essere ricoverata, ma quando aveva telefonato per avere sue notizie, gli era stato detto che nessuna paziente era registrata sotto quel nome. Un'altra versione racconta invece che Lewin/Alex, pressato da infinite richieste di rendere noto il nome dell'ospedale in cui si trovava Julie/Joan, affinché le si potessero inviare fiori e cartoline, fornì il nome dell'ospedale dove lavorava come psichiatra.

Lewin/Alex, intanto, provò a mettere in pratica il proprio proposito attraverso un'altra tattica: Julie/Joan presentò a tutti un suo nuovo amico, Sanford Lewin/Alex, uno psichiatra newyorchese. Lewin/Alex cercò allora di fare amicizia con gli amici di Julie/Joan, ma il suo tentativo fallì: infatti, non aveva un carattere adatto a sviluppare facilmente conoscenze online. La sua personalità era praticamente l'opposto di quella del suo personaggio: l'identità Sanford di Sanford veniva sconfitta dall'identità di Julie.

Quando Lewin/Alex riuscì a conquistarsi qualche amicizia "virtuale", le donne disabili furono le prime ad esprimere dubbi circa la veridicità dei racconti di Julie/Joan. Lewin/Alex, quindi, decise di confidarsi con alcune donne e la verità si diffuse ben presto in tutta la Rete. Ci volle comunque del tempo perché il personaggio di Julie/Joan venisse definitivamente cancellato: il suo mito sopravvisse per molti mesi.

La scoperta della verità causò emozioni intense presso gli amici online di Julie/Joan: la maggior parte, infatti, sperimentò un vero e proprio lutto. Persino l'aiuto ricevuto da Julie/Joan sembrava ormai inappropriato, in quanto Lewin/Alex non era riuscito ad ereditare dal proprio personaggio neppure una minima parte di fascino e carisma che avrebbero potuto compensare la "scomparsa" di Julie/Joan. Altre donne dichiararono di aver provato sensazioni peggiori, paragonabili ad un vero e proprio stupro, poiché i loro segreti più intimi sembravano violati. Sorsero persino gruppi di sostegno online per parlare e rielaborare questa sensazione di inganno, tradimento e violenza.

Sanford Lewin è ancora abbonato a CompuServe, ma il suo profilo online è molto basso, perché la sua identità "virtuale" è insignificante. Pochi amici di Julie/Joan sono riusciti ad instaurare con lui rapporti di amicizia. Alcune donne, tuttavia, sono diventate sue amiche e hanno cercato di dimenticare l'inganno. Sembra molto significativa l'affermazione di una di loro, riportata da Stone (1995, p. 95): "Ho cercato di dimenticare l'episodio di Julie. In fondo siamo state precipitose, molte donne hanno corso dei rischi che avrebbero potuto evitare. Non importa se si tratta di Sanford o Julie, di una donna o un uomo. Quello che conta è la persona che c'è sempre stata. Quella è la persona cui voglio bene".

Altre versioni (Turkle, 1995) raccontano, invece, che lo psichiatra ebbe diverse relazioni nella vita "reale" con le donne conosciute in Rete grazie a Julie/Joan. In queste versioni, la storia dell'amante elettronico diviene il racconto di una vera e propria trasgressione.

3.4.2. Il caso di "Mister X"

Questa vicenda è raccontata da Sherry Turkle nel suo celeberrimo libro "Life on the screen" (1995, pp. 340- 342).

Nel 1993, il sistema telematico The WELL si trovò al centro di una controversia riguardante un altro "amante elettronico". All'interno di The WELL esiste un forum di discussione riservato ad un bacino d'utenza prettamente femminile. In questo forum, parecchie donne si incontravano per confrontare le proprie esperienze d'amore nel cyberspazio. Dopo varie conversazioni, si resero conto di essere state sedotte, alcune soltanto virtualmente, altre anche realmente, dallo stesso uomo, che fu definito "cyber-canaglia". Man mano che il numero delle partecipanti alla discussione aumentava, si iniziò a scoprire come le attività di "Mister X" fossero molto estese e coerenti fra loro. Infatti, "Mister X" corteggiava le donne tramite email e telefonate, giurando loro di mantenere segreta la relazione. Dopo un periodo di smancerie, complimenti e corteggiamenti, spesso viaggiava fino all'altra parte degli Stati Uniti per conoscerle di persona. Le storie, però, avevano tutte la medesima conclusione: tutte le donne venivano regolarmente sedotte e abbandonate. Una delle "vittime" di "Mister X" aprì su The WELL un topic per scoprire se qualcuno effettivamente conosceva questo "cyber-artista" della truffa e in pochi giorni vennero inseriti migliaia di messaggi riguardanti le "gesta" del fantomatico seduttore. Come afferma Turkle: "Alcuni sostenevano le posizioni delle donne, altri osservavano come l'intero topic sembrasse un linciaggio high-tech" (p. 341). Coloro che consideravano trasgressiva la vicenda ritenevano che "Mister X" avesse confuso il cyberspazio con la "vita reale": non solo aveva utilizzato le relazioni instaurate online per comportarsi scorrettamente offline, ma aveva anche usato le relazioni "virtuali" come si trattasse di relazioni "reali". Da tali dibattiti, molti iniziarono a distinguere tre tipi di rapporti: quelli della vita reale, quelli virtuali con persone "reali" e quelli virtuali con persone virtuali. Turkle (1995) riporta una dichiarazione emblematica che chiarisce la posizione di molte donne, relativamente ai fatti accaduti: "In un MUD, in una chat room, o in un canale IRC, potrebbe essere normale avere storie diverse con varie persone al riparo dei propri pseudonimi. Ma quest'uomo avvicinava le donne come se fosse davvero interessato- cioè, diceva loro che era innamorato della donna reale. E riuscì perfino a incontrarne qualcuna- per mollarla subito dopo. Ecco la differenza: fin dall'inizio non rispettò il fatto che il mondo online rappresenta un luogo a sé" (p. 341).

"Mister X", successivamente, spiegò di non ritenere scorretto il proprio comportamento: anche se aveva intrattenuto molteplici e simultanee relazioni consensuali, pensava che ciò fosse consentito dalle regole del cyberspazio.

"Durante una conversazione telefonica, Mister X (che ha parlato protetto dall'anonimato) ha nuovamente cercato di considerare gli eventi in prospettiva: "Il ciclo di furia, rabbia e risentimento, istantaneamente trasmessi, ha creato questa specie di entità indipendente…Questa gente m'inseguiva brandendo torce virtuali e mi ha messo sulla forca. Una risposta emotiva assolutamente sproporzionata rispetto a quel che è avvenuto realmente. Comprese le distorsioni e le falsità su quel che ho fatto davvero". "Mi sbagliavo", ha aggiunto. "Il mondo virtuale è identico a quello reale…Avrei dovuto capire che si sarebbero applicati i medesimi standard". Mister X ha poi annunciato che avrebbe abbandonato The WELL. Il suo account era già stato bloccato" (Turkle, 1995, pp. 346-347).42

3.4.3. "A rose is not always a rose": il caso di Steve Silberman

Steve Silberman, giornalista della celebre rivista statunitense "Wired" nel 1994 si presentò per quattro notti in una chat, simulando un'identità femminile con lo pseudonimo di "Rose". Il motivo che lo indusse a tale sperimentazione fu il desiderio di capire cosa si prova ad essere donna: egli raccontò, infatti, di essersi incuriosito dopo aver intervistato per un articolo una ragazza lesbica di sedici anni, che aveva cambiato il modo di vivere la propria condizione grazie alla partecipazione ad un gruppo di supporto in Rete. Al termine dell'intervista la giovane aveva rivelato a Silberman: "You have no idea what it's like being a woman online. It's totally different" (1995).

Silberman costruì, dunque, questa identità fittizia, cui attribuì un grande amore per la poesia; non aggiunse però nessuna descrizione fisica al proprio profilo online. Inoltre, giurò a se stesso che non avrebbe mai iniziato spontaneamente alcuna conversazione mentre "impersonificava" Rose, né avrebbe mai usato lo pseudonimo per "violare" i gruppi di discussione riservati alle donne. Egli era, nel contempo, curioso di sperimentare questa nuova identità, ma consapevole di commettere qualcosa di ingiusto.

Appena entrò nella stanza della chat, Rose/Steve ricevette ben presto numerosi messaggi anche da persone che lo avevano precedentemente ignorato, quando si era presentato come maschio; alcuni di questi messaggi erano amichevoli e cortesi, altri erano intenzionalmente volgari, brutali e molesti. Silberman si rese subito conto, come rivela nel suo articolo, di quanto rapidamente un corteggiamento maschile non gradito possa diventare molesto.

Ricevette poi un messaggio molto gentile, seguito da una citazione poetica, da un giovane attore di nome Adam, che condivideva con Rose la passione per la poesia. Decise allora di rispondere, senza modificare troppo il suo stile linguistico, limitandosi soltanto ad usare pronomi femminili, anziché maschili. Rose e Adam iniziarono a parlare delle loro vite, delle loro passioni, dei libri che amavano, dei viaggi che avevano fatto. A poco a poco, il loro dialogo divenne più intimo e profondo: entrambi cominciarono a raccontarsi fatti molto personali, relativi al proprio passato sentimentale.

Silberman si accorse allora che ciò che era iniziato come un semplice esperimento stava diventando incontrollabile: Adam gli piaceva e aveva la sensazione che se il loro incontro fosse avvenuto offline sarebbero stati buoni amici. Il problema, tuttavia, era evidente: la persona verso cui Adam si mostrava affettuoso e gentile, cui apriva il suo cuore, era Rose, non Steve. Ben presto, poi, i messaggi di Adam, pur essendo sempre molto cortesi e sinceri, assunsero un tono più affettuoso e romantico. Silberman si preoccupò maggiormente e cominciò a pentirsi delle conseguenze che sarebbero derivate dal suo fake.

"I did my best to keep my pronouns and anatomy straight while typing furiously, feeling foolish, aroused, wrong - and loved - all at the same time" (Silberman, 1995). Adam chiese a Rose una fotografia e Steve, non sapendo come comportarsi, interruppe la connessione. La notte seguente, Adam espresse il desiderio di incontrare Rose al più presto, poiché era rimasto davvero colpito da lei e nulla avrebbe potuto deludere le sue aspettative, neppure l'aspetto fisico della donna.

Silberman si vide allora costretto a rivelare la sua vera identità, ma fu sinceramente dispiaciuto per aver tradito la fiducia del giovane. Adam rispose "I suspected it. I'm disappointed, of course. But there's obviously something beautiful about you that I saw, and that someone who will love you one day will see too".

Dopo una breve conversazione di circostanza, entrambi lasciarono la chat. Silberman cancellò il nome di Rose quella sera stessa e non si presentò più online simulando un'identità femminile: l'esperienza vissuta lo aveva lasciato molto amareggiato per aver involontariamente, e per gioco, ingannato una persona gentile, affettuosa e sincera.

3.4.4 Un fake collettivo: il caso di "Luther Blissett"43

Dall'inizio degli anni Novanta, Luther Blissett si è affermato come personaggio immaginario sulla scena delle controculture giovanili europee.

"Luther Blissett" è uno pseudonimo multi-uso, adottabile da chiunque per costruire un personaggio virtuale, una versione postmoderna del folk hero, "anti-eroe dai mille volti", la cui reputazione è costantemente de-costruita e re-inventata da coloro che adottano il nome. "Luther Blissett" è metodologia dell'anti-copyright e manifestazione della Gemeinwesen44.

Adottando questo pseudonimo collettivo e multi-uso, migliaia di persone (fra cui attivisti politici e sociali, artisti, scrittori, saggisti) di diversi paesi hanno prodotto riviste e fanzine, sia cartaceee che elettroniche, beffe mediatiche45, saggi e opere di fiction, dischi, pièces teatrali, siti web, controinchieste militanti testi teorici e di narrativa e soprattutto azioni di "guerriglia mass-mediatica". Tutte queste attività si propongono un obiettivo preciso: combattere contro il sistema ufficiale dell'informazione.

Perché centinaia o migliaia di persone decidono di adottare lo stesso pseudonimo, di condividere, non senza contrasti, la stessa "reputazione", per firmare azioni politico-culturali, performances, scritti teorici o di narrativa e, in generale, "opere dell'ingegno"? A cosa si deve il successo del nome "Luther Blissett" tanto sul world wide web quanto nel mondo "reale", nelle strade delle città europee, nell'editoria su carta stampata, nelle installazioni della Biennale di Venezia? In Italia il nome inizia a circolare nel 1994.

L'idea appartiene ad un'etica del fare collettivo che ritiene più importante ciò che il lavoro mette in moto a livello sociale che non l'identità di chi ha prodotto tale lavoro. É' un'etica che non prevede premi per gli autori del lavoro in quanto presume che il risultato del lavoro collettivo sia già un premio condiviso dall'umanità intera. Quando parte il progetto Luther Blissett a Bologna, il fenomeno ha una sua immediata diffusione nelle BBS nazionali, dove la questione dell'anonimato era una forte rivendicazione nell'area delle reti cyberpunk ed antagoniste. Moltissimi dunque si collegano alle BBS mettendo messaggi in Rete a firma Luther Blissett. Il progetto si sviluppa contemporaneamente non solo nell'ambiente delle reti telematiche, ma anche in quello dei media in generale così come in ogni possibile azione del quotidiano. Ciò da luogo ad una improvvisa esplosione del fenomeno a livello nazionale ed internazionale che renderà in poco tempo Luther Blissett un personaggio pubblico noto a chiunque, le cui azioni sono riportate e recensite sui maggiori media. Le nuove figure del lavoro vivo create dall'estendersi delle tecnologie informatiche, abituate a lavorare "in Rete", a produrre comunicazione sociale, a collaborare, sono le più vicine a un'esperienza di Gemeinwesen. Nelle pieghe del lavoro post-fordista va formandosi una comunità allargata che vive con crescente insofferenza l'espropriazione e lo sfruttamento della ricchezza (anche "immateriale", relazionale, emotiva) che essa produce, a opera di parassitiche multinazionali. La maggior parte delle persone che adottano il nome di Luther Blissett, infatti, rientra nella sempre più diffusa tipologia del lavoratore "immateriale" e/o "atipico" (programmatori, web designers, operatori culturali, grafici, copy writers, traduttori, lavoratori del "terzo settore", "lavoratori autonomi di seconda generazione", etc).

Nel 1995, Luther Blissett opera una beffa ai danni della trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?" che si mette sulle tracce di un inesistente artista inglese, Harry Kipper46, disperso tra Nord Italia ed ex-Jugoslavia. Una troupe viene sguinzagliata per mezza Europa a intervistare presunti amici e colleghi di Harry, in realtà tutti complici della beffa, la cui rivendicazione fa scalpore e attira su Blissett l'attenzione dei media nazionali. Da quel momento, parte una lunga serie di beffe, sempre più clamorose.

Nello stesso anno parte "Radio Blissett" a Roma e Bologna. Esce il libro di Luther Blissett "Mind Invaders", e il numero 0 della fanzine "Luther Blissett. Rivista di guerra psichica e adunate sediziose". Nel 1996 si succedono una serie di pubblicazioni: esce il libro di Luther Blissett "Totò, Peppino e la Guerra Psichica"; la Mondadori casca in una trappola pubblicando "Net generation" a firma Luther Blissett; Baroni pubblica "Luther Blissett uomo dell'anno".

Nel 1997, esce il libro di Luther Blissett "Lasciate che i bimbi", e durante lo stesso anno un magistrato sporge querela in relazione alla pubblicazione di un libro curato dal "Luther Blissett Project". In questa vicenda sono coinvolti Helena Velena, la casa editrice Castelvecchi e un provider.

Nell'estate del 1999 alla biennale di Venezia partecipa un'artista serbo inesistente: Darko Maver. L'operazione mediale di fantasia realizzata da 0100101110101101.org vuole mettere in risalto le contraddizioni del sistema dell'arte attraverso l'uso strategico dei media. Lo stesso gruppo viene privato qualche mese dopo del dominio vaticano.org (copia infedele e nello stile di stampo blissettiano del sito ufficiale della Santa Sede) contenente brani eretici e testi di alcuni gruppi musicali, mimetizzati ad arte fra encicliche e lettere apostoliche. "EntarteteKunst" nasce dal Luther Blissett Project per diffondere le strategie di guerriglia comunicativa e di plagio. Nel 2000 uno dei Luther Blissett è tra i fondatori del Net_Institute.

Il fenomeno legato al nome di Luther Blissett è, dunque, una sorta di fake collettivo, attuato per protesta, e messo in atto sia nel cyberspazio che nella cosiddetta "vita reale".

Attualmente il "movimento" continua con il nome di "Wu Ming", un "marchio" creato da quattro membri del Luther Blissett Project, autori del celeberrimo romanzo "Q" pubblicato nel 1999. "Wu Ming" è un termine cinese e significa "nessun nome". In Cina questa espressione viene spesso usata per siglare pubblicistica dissidente. Il nome rende conto della ferma intenzione degli autori di non diventare "personaggi, romanzieri pacificati da salotto o scimmie ammaestrate da premio letterario" (dal sito www.wumingfoundation.com). Nel novo progetto sopravvivono, infatti, anche se modificate, molte delle peculiarità del Luther Blissett Project, ossia radicalità di proposte e contenuti, slittamenti identitari, tattiche di comunicazione-guerriglia, il tutto applicato alla letteratura e, più in generale, finalizzato a raccontare storie o curare/lanciare storie scritte da altri. La principale linea di condotta consiste nell'essere presenti ma non apparire: trasparenza di fronte ai lettori, opacità verso i media" (dal sito www.wumingfoundation.com).

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