1. LE COMUNITA' VIRTUALI
1.1 La rete da medium di comunicazione a luogo di comunità
La Rete telematica mondiale nasce all'inizio degli anni Sessanta,
per un fine ben preciso e molto diverso dagli scopi per cui viene attualmente
utilizzata: infatti, è stata ideata per risolvere il problema dell'inaffidabilità
delle reti di comunicazione esistenti, in caso di un attacco nucleare. Sono
gli anni della "guerra fredda", della rivalità tra Stati Uniti
ed Unione Sovietica per la conquista dello spazio e per la superiorità
tecnologica in ambito aerospaziale.
Durante la crisi di Cuba, momento in cui si prospetta altamente probabile la
possibilità di una guerra nucleare, gli americani si rendono conto delle
carenze del loro sistema difensivo e in particolare prendono atto del fatto
che le centrali di comando e di controllo dell'esercito sono situate in strutture
facilmente individuabili e che pertanto possono essere distrutte dal nemico.
Inoltre, in caso di attacco, la comunicazione si sarebbe interrotta a causa
del meccanismo di trasmissione delle informazioni, il quale prevede che se viene
interrotto il canale diretto di comunicazione fra due punti, non ci sia nessun
altro punto attraverso cui l'informazione possa passare.
Si pensa così di favorire la circolazione di informazioni e messaggi,
suddivisi in singoli pacchetti, attraverso percorsi casuali in un numero immenso
di nodi di comunicazione.
La particolarità di questi strumenti per la trasmissione di dati è
quella di fare circolare pacchetti di informazione digitale liberamente all'interno
di una rete di computer, in modo che ciascun pacchetto viaggi in maniera libera:
se uno o più nodi della rete venissero distrutti, il pacchetto di dati
potrebbe deviare e viaggiare attraverso altri nodi ancora attivi. Ciò
che di innovativo apporta questa rete è il fatto che non vi è
nessun punto centrale: ciascun nodo del network può operare come punto
centrale e quindi i messaggi possono seguire qualsiasi strada. In tal senso,
la Rete può essere considerata un sistema di comunicazione "democratico"
(Festini, 2000).
La prima rete di telecomunicazioni digitali, Arpanet, nasce, dunque, per scopi
principalmente legati all'ambito militare, ad opera di numerosi ricercatori
fra cui Joseph C. R. Licklider, Robert Taylor e Paul Baran.
Il fine iniziale di Arpanet, tuttavia, si trasforma ben presto in qualcosa di
diverso. Al suo interno, infatti, nascono e si moltiplicano, già dagli
anni settanta, messaggi di posta elettronica e bacheche elettroniche di annunci
su temi ben precisi.
1.1.2 Le prime comunità virtuali
Un primo esempio di comunità virtuale è dato dalle
conferenze Science Fiction-Lovers e Human-Net, promosse da ricercatori interessati
a temi di fantascienza.
Nel 1978, nascono i primi abbozzi di comunità virtuali basate su un sistema
semplice, che godrà di grande successo: si tratta delle BBS online (online
Bulletin Board Services), una rete di bacheche elettroniche che permettono discussioni
collettive riguardanti qualsiasi argomento.
Negli stessi anni, vengono create aggregazioni virtuali definite “antagoniste”
rispetto al sistema BBS, quali il progetto di CommuniTree e di Fido Net.
CommuniTree
CommuniTree viene fondata in California nel 1978 da un gruppo di programmatori.
Si tratta di un tentativo di costruire, sulla base delle teorie di McLuhan,
un media trasformativo, ossia un media che sia in grado, attraverso la propria
struttura tecnologica, di creare una nuova “protesi comunicativa”
che estenda lo spazio della socialità umana. CommuniTree presenta una
serie di caratteristiche innovative:
I partecipanti alle conferenze di CommuniTree non si considerano
dei semplici lettori di messaggi, ma agenti di un nuovo tipo di esperimento
sociale. Essi vedono il computer come una finestra aperta su uno spazio sociale.
CommuniTree ha, però, una breve durata. Nel 1982, con l'introduzione
dei computer nelle scuole superiori, alcuni studenti si introducono nel sistema
di CommuniTree e lo inondano di messaggi insultanti, impossibili da controllare
al loro arrivo e difficili da cancellare. Inoltre, un gruppo di hacker attenta
al suo sistema quando scopre alcuni bug presenti nel programma. In pochi mesi
l'intero sistema va in "crash" e CommuniTree è costretta a
chiudere, a causa di ciò che uno dei partecipanti ha definito "le
conseguenze della libertà di espressione" (Stone, 1995, p.
129).
FidoNet
La storia di Fido Net inizia nel 1983: questo sistema nasce come strumento di
comunicazione e comunità strutturalmente alternativa. Si vuole costruire
uno spazio comunicativo libero, una rete di bacheche elettroniche in grado di
connettere a basso costo gli Usa e il resto del mondo. La vera novità
consiste nell’intuizione di uno dei fondatori, Jennings, di mettere in
comunicazione i singoli nodi della Rete attraverso telefonate interurbane notturne
che permettono di scambiare messaggi fra comunità anche molto distanti
fra loro. Si tratta di quella che è stata definita l'ora continentale
fido. Tra l'una e le due di notte, i sistemi di bacheche elettroniche di
Fido Net vengono chiusi agli utenti e connessi tra loro; ogni bacheca elettronica
dispone infatti di un numero e la rete smista i messaggi in base ai numeri del
nodo.
1.1.3. La Rete come luogo di comunità
Nel 1991 la rete amatoriale delle BBS converge con Internet, al cui interno
già esisteva un sistema di bacheche elettroniche, Usenet1
. L’interconnessione delle due reti permette agli utenti delle BBS di
estendere la propria azione su scala mondiale.
Accanto a questi tipi di comunità virtuali, predecessori degli attuali
newsgroup, nascono nel 1979 in Inghilterra il primo MUD (Multi User Dungeon),
in cui lo spirito di comunità è di tipo ludico e nel 1988 IRC
(Internet Relay Chat), un sistema di canali e stanze dedicate alla chat
sincrona.
La Rete diventa, quindi, il luogo di nuove comunità, nello stesso modo
in cui, nel celebre romanzo Luce virtuale (1984) di William Gibson,
uno dei “padri” della letteratura cyberpunk, il ponte di
San Francisco, una struttura civile creata con la funzione di permettere l'accesso
alla città, diviene il luogo di residenza di una popolazione eterogenea
che vi si insedia.
“L’integrità della sua campata era rigorosa quanto il
programma moderno stesso, ma intorno a esso era cresciuta un’altra realtà,
che seguiva una sua logica. Questo era accaduto un pezzo per volta, senza seguire
alcun piano, utilizzando ogni tecnica e ogni materiale immaginabile. Il risultato
era qualcosa di amorfo e di sorprendentemente organico. [...] Le sue ossa d’acciaio
si perdevano tra un accumulo di sogni: laboratori di tatuaggi, sale giochi,
negozietti mal illuminati pieni di riviste in decomposizione, venditori di fuochi
artificiali, di esche, agenzie di scommesse, chioschi di sushi, banchi di pegni
non autorizzati, erboristerie, barbieri. Sogni di commercio, situati di solito
sul livello che un tempo aveva trasportato il traffico veicolare; al di sopra
di questi, fin sulla stessa cima delle torri che reggevano i cavi si arrampicava
una baraccopoli sospesa, con la sua popolazione non censita e le sue zone di
fantasia più privata.” (Gibson, 1994, pp. 590-591).
Il mondo telematico viene rappresentato nei romanzi di Gibson come un’enorme
metropoli in cui dati, contenuti e informazioni assumono la forma di ponti,
fiumi, palazzi, strade o grattacieli.
La struttura di Internet, in effetti, richiama decisamente quella immaginata
da Gibson, in quanto le modalità grafiche per accedere alle informazioni,
ai servizi, alle “piazze” e ai “viali” di Internet sono
quelle della creazione sulla Rete di uno spazio virtuale.
La Rete si trasforma in uno spazio che permette la creazione di nuove relazioni
comunitarie. Da luogo della comunicazione a luogo della comunità, vero
e proprio spazio virtuale abitabile.
Tale passaggio si completa con la progressiva trasformazione di Arpanet in Internet,
che è stata possibile anche grazie all’intervento e ai finanziamenti
di multinazionali americane, istituti di ricerca, università e college,
che avevano compreso l’importanza delle reti telematiche come risorsa
intellettuale.
La Rete costituisce una “metafora vivente”. Essa è composta
da isole di informazioni tra cui l’utente si sposta, compie un viaggio,
“naviga”: il termine “cyberspazio” deriva dalla
fusione del sostantivo “spazio” col verbo greco “kybernàn”
che significa “condurre una nave”, navigare per l’appunto
(Diodato, Ferri, 1998, p. 1).
Gli strumenti tuttora utilizzati per navigare in Rete sembrano essere “vettori
che conducono in luoghi virtuali, in spazi polidimensionali nei quali si sosta
e si abita” (Ferri, 1999, p. 64). Gli stessi nomi dei browser,
Explorer, Navigator, rimandano alla metafora di un viaggio verso una meta
da raggiungere, verso siti2,
luoghi in cui è possibile socializzare, leggere, studiare, scambiare
informazioni. Tutte queste azioni possono essere percepite dal soggetto come
compiute all'interno di uno "spazio psicologico". Quando una persona
accende il proprio computer, avvia un programma, scrive una email, o accede
ad un newsgroup o ad un qualsiasi servizio online, sperimenta, consciamente
o inconsciamente, la sensazione di entrare in un luogo o in uno spazio ricco
di significati e propositi. Molti utilizzatori di Internet descrivono l'esperienza
di connessione alla Rete come un viaggio. Le metafore spaziali sono comuni nell'universo
informatico: basti pensare ai termini "mondi virtuali", "domini"
e "stanze".
Quasi ogni gesto della vita reale ha il suo doppio nello spazio, nella comunità
della Rete. Partecipare ad una comunità virtuale, ad una chat, o ad una
conversazione di gruppo in Rete, dà modo di sperimentare un’esperienza
di natura comunitaria in un nuovo “spazio abitativo”. Ad un livello
psicologico più profondo, spesso gli individui descrivono i loro computer
come un'estensione delle loro menti e personalità, uno spazio che riflette
i loro gusti, le loro attitudini e i loro interessi (Suler, 2001).
Suler afferma che in termini psicoanalitici si potrebbe definire il cyberspazio
come un tipo di "spazio transizionale", cioè un'estensione
del mondo intrapsichico dell'individuo, una zona intermedia tra sé ed
altro da sé.
L’identificazione della Rete come spazio comunitario da abitare deriva
dalle modalità stesse di connessione in Rete, che prevedono:
Entrare in Rete equivale, dunque, all’ingresso in una
comunità associata, dotata di proprie regole di appartenenza, talvolta
esplicitate tramite le FAQ (Frequently Asked Questions)4
e di un’etica di Rete detta Netiquette5.
La metafora del cyberspazio in quanto luogo ha portato a considerare
le reti come luoghi d’incontro, piazze virtuali e conviviali, luoghi che
riproducono gli spazi in cui sono state tradizionalmente sviluppate le comunità:
i cosiddetti “terzi spazi” (Oldenburg, 1989), essenziali
nella vita delle persone accanto ai luoghi in cui si vive e a quelli in cui
si lavora. La Rete è attualmente percepita come uno spazio immenso, continuamente
in estensione, e contemporaneamente come un luogo ricco di risorse, tanto che
tali caratteristiche causano nei navigatori uno “sbilanciamento continuo
tra onnipotenza e impotenza” (Longo, 2001, p. 135). Tale sensazione
di onnipotenza nasce dalla possibilità di poter raggiungere qualsiasi
contenuto, luogo o persona nel mondo attraverso un clic.
Nel corso del tempo la Rete si è modificata, ampliata, così come
è aumentato il numero di persone in grado di accedervi. Però non
bisogna in ogni caso dimenticare che la storia delle comunicazioni digitali
è opera di diversi agenti, che ne hanno permesso lo sviluppo e l’evoluzione:
centri di ricerca finanziati dal Pentagono e dal governo statunitense, ricercatori,
studiosi, università, ma anche anonimi programmatori.
Ferri (1999, p. 60) afferma che: “la storia della Rete è la
storia della paura della “guerra nucleare” e insieme l’utopia
della comunicazione alternativa, la storia della difesa territoriale degli USA
e insieme quella della difesa dei diritti delle comunità alternative:
solo avendo presente questo fatto possono essere comprese le caratteristiche
peculiari della singolarissima comunità virtuale rappresentata dal World
Wide Web”.
1.2.1. Tönnies
A partire dal 1887, anno in cui Ferdinand Tönnies pubblica la sua opera
“Gemeinschaft und Gesellschaft” (“Comunità
e società”), numerosi sociologi e filosofi si sono occupati della
definizione del concetto di comunità. Tönnies contrappone il concetto
di comunità a quello di società, affermando che nella comunità
gli individui sono legati da una “volontà naturale”, che
stabilisce rapporti affettivi di collaborazione e di amore, improntati a intimità,
riconoscenza, condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi, ricordi
ed esperienze comuni. Le persone che fanno parte della comunità sono
unite da vincoli di sangue, come la famiglia, di luogo, come il vicinato, e
di spirito, come i rapporti amicali. Nelle comunità, gli uomini si sentono
saldamente e permanentemente uniti da fattori di similitudine, da elementi di
comunanza e condivisione. Al contrario, nella società le relazioni sono
basate sulla “volontà razionale”, finalizzata al perseguimento
di obiettivi specifici. La società è, dunque, una "costruzione
artificiale”, nella quale gli individui vivono isolati, in tensione con
gli altri. Il rapporto su cui si basa la società è costituito
dallo scambio, che viene mediato dal denaro. Nella società dominano competizione,
neutralità affettiva e orientamento all’interesse privato, laddove
nella comunità imperano solidarietà, affettività e orientamento
all’interesse pubblico.
La comunità è costituita dunque da soggetti che si rapportano
in modo coeso ed unitario alla realtà esterna, mentre la società
è composta da individui o gruppi che si rapportano agli altri con un
fine personale da raggiungere.
Pertanto citando Tönnies: “Tutto ciò che è fiducioso,
intimo, vivente esclusivamente insieme è compreso come vita in comunità.
La società è ciò che è pubblico, è il mondo;
al contrario, ci si trova in comunità con i propri cari sin dalla nascita,
legati ad essi nel bene e nel male. Nella società si entra in una terra
estranea” (1963, p. 37).
1.2.2. Nancy
Il filosofo francese contemporaneo Jean Luc Nancy, nella sua opera “La
comunità inoperosa” (1995), contesta il pensiero di Tönnies
affermando che è sbagliato contrapporre il concetto di comunità
a quello di società. Secondo Nancy non esiste nessuna comunità
perduta da ricostruire: l’avvento di una società basata su stato,
industria e capitale, non avrebbe causato la dissoluzione di una felice e ideale
comunità precedente. Per il filosofo francese il mito della comunità
perduta sarebbe soltanto un archetipo culturale occidentale che ha origine da
Omero, fino ad arrivare al cristianesimo e al marxismo. Inoltre, l'ideale della
comunità incarna la paura di riconoscere che non è mai esistita
una comunità mitica come quella di Cristo o di Marx: "La comunità
non ha avuto luogo o meglio, se è certo che l'umanità ha conosciuto
( e conosce ancora, fuori dal mondo industriale) legami sociali diversi da quelli
che conosciamo, la comunità non ha avuto luogo fra gli indiani d'America,
non ha avuto luogo in una età delle capanne, non ha avuto luogo nello
"spirito del popolo" hegeliano, ne nell'agàpe cristiana. La
Gesellschaft non è venuta, insieme con lo stato, l'industria e il capitale,
a dissolvere una Gemeinschaft precedente" (Nancy, 1995, p. 36).
Per Nancy la società ha semplicemente sostituito una supposta comunità
di tipo “partecipativo”, un’aggregazione di individui in cui
forse vi era un maggior numero di esperienze comunicative differenti, di valori
e di ideali, ma contemporaneamente la struttura sociale era più rigida
e più povera rispetto a quella dell’attuale società. “La
comunità, lungi dall’essere ciò che la società avrebbe
perso o infranto, è ciò che accade – questione, evento,
imperativo – a partire dalla società” (Nancy, 1995,
p. 37).
Nancy invita, dunque, a non rimpiangere una comunità perduta di anime
e corpi e a non voler ricostruire, attraverso i mezzi offerti dalle nuove tecnologie,
una nuova comunità originaria. Bisogna, invece, accettare i limiti delle
relazioni sociali e comunitarie e provare a costruire relazioni che umanizzino
il presente, che ci caratterizza come uomini finiti e limitati.
Secondo Nancy, non è dato un "soggetto" che entra in relazione
con altri, ma una singolarità che "compare" solamente all'interno
di una comunità. Il filosofo sostiene che si ha una comunità quando
singolarità che non hanno la pretesa di essere divine ed eterne, mettono
in comune parti limitate della loro esistenza. Si tratta di "una logica
del limite, logica di ciò che non appartiene né al puro dentro,
né al puro fuori, logica che caratterizza l'essere-con6,
il quale si colloca fra la disgregazione della "folla" e l'aggregazione
del "gruppo", e l'una e l'altro sono in ogni momento possibili, virtuali,
prossimi. Questa sospensione caratterizza l'essere-con: un rapporto senza rapporto,
un'esposizione simultanea al rapporto e all'assenza di rapporto" (Nancy,
1995, pp. 182-183). L’essenza comunitaria è, dunque, secondo Nancy,
intrinseca nell’uomo e ne precede l’individualità.
1.2.3. Altre definizioni del concetto
di comunità dal comunitarianismo ad oggi
Alla fine del Novecento nasce negli Stati Uniti il comunitarianismo, una corrente
di pensiero socio-politica e carica di implicazioni morali, finalizzata al recupero
del “senso di comunità” (Doheny-Farina 1996, Etzioni, 1993),
che indica la soluzione alle angosce, alle contraddizioni e ai dilemmi delle
società complesse nel ritorno alle comunità locali. In particolare,
le caratteristiche che contraddistinguono una comunità sono, secondo
i comunitarianisti, condivisione di interessi e di valori, cure, educazione,
comunicazione ed una "voce morale".
Per Hillery (1968) si definisce comunità un insieme di persone che interagiscono
all’interno di un’area geografica e hanno uno o più legami
supplementari.
Secondo Sennett (1978), il concetto di comunità si riferisce ad una serie
di relazioni sociali che si svolgono all’interno di confini precisi, ma
una comunità ha soprattutto una componente ideologica in quanto fa riferimento
a un senso di identità e interesse comuni.
Secondo Contessa (1981) “perché si possa parlare di comunità
occorre innanzitutto uno spazio, un ambiente, un territorio sul quale esistono
gli stessi individui e gruppi; occorre che la struttura economica, la stratificazione
sociale, le abitudini, il linguaggio abbiano una qualche identità precisa
e unitaria; e infine che i singoli gruppi, per motivi storici o contingenti,
vivano l’appartenenza a un’entità astratta e comune”
(p. 56).
La maggioranza degli studiosi considera l’elemento spaziale come necessario
ma non sufficiente alla nascita di una comunità, la quale si stabilizza
grazie ai legami psicologici ed emotivi che si creano tra i suoi membri.
Per Fernback e Thompson (1995), senza comunicazione non è possibile che
vi sia un’azione che strutturi ed organizzi relazioni sociali.
Entra in gioco dunque anche il concetto di comunione, e al tempo stesso di comunicazione:
comunità ha la stessa radice etimologica di comunicazione; entrambi i
termini derivano infatti dal vocabolo latino communis (comune), il
quale deriva a sua volta da cum (con, insieme) e munis (obbligazione),
oppure, unus (uno), dunque “mettere insieme", "riunire”
due elementi separati. Comunità significa, quindi, condivisione di ideali,
interessi e territori.
Un altro elemento fondamentale sembra essere il senso di appartenenza, cioè
la capacità di percepire la similarità con gli altri membri della
propria comunità.
Van Vliet e Burgers (1987) analizzano il concetto di comunità alla luce
della società postindustriale e sostengono che in una comunità
sono presenti l’interazione sociale, un sistema di valori e un sistema
di simboli condivisi. Questi elementi darebbero luogo ai quattro scopi di una
comunità, ossia un fine sociale (interazioni sociali, solidarietà,
relazioni individuali e istituzionali), un fine economico (produzione, distribuzione
e consumo di beni e servizi), un fine politico (formazione di obiettivi e loro
realizzazione) e un fine culturale (valori e simboli condivisi e costruzione
di mezzi). In questa analisi si intersecano, dunque, dimensioni materiali e
simboliche.
La continua rivisitazione del concetto di comunità ne fa un termine incerto
usato per descrivere collettività che vanno dal vicinato di quartiere
a intere nazioni.
In senso più generale, una comunità può essere descritta
come un intreccio di relazioni sociali tenute assieme da circostanze intenzionali,
ovvero l’appartenenza comunitaria viene cercata in base ad interessi condivisi;
oppure da circostanze non intenzionali: i componenti possono essere scelti da
circostanze casuali (comunità di quartiere, alunni di una classe scolastica).
Secondo Paccagnella (2000) il concetto di comunità resta importante come
uno dei poli, o “tipi ideali”, di un continuum analitico tra una
collettività di persone tenute assieme da relazioni personali dirette,
forti valori comuni, sentimenti di solidarietà e riconoscimento reciproco
ed una collettività di persone basata su interessi contingenti e momentanei,
professionalizzazione, interesse individuale e razionalità.
1.2.4. L'avvento delle nuove tecnologie
e il concetto di comunità
Con l'inizio dell'era post-industriale si assiste ad un’ulteriore ridefinizione
del concetto di comunità.
L’avvento e la diffusione delle nuove tecnologie ha infatti contribuito
alla rivisitazione del concetto di comunità, soprattutto di alcune caratteristiche,
come i fattori spaziali e temporali, ritenute fino ad allora basilari per poter
parlare di comunità. Ci si chiede se è ancora necessario imporre
al concetto di comunità confini e limiti quali la prossimità fisica
o geografica, o la coesione politica, ma nel contempo ci si domanda anche se
una rete di persone connesse soltanto tramite delle parole o dei messaggi può
costituire una comunità. Alcuni autori (McLuhan, 1964; Boorstin, 1978;
Meyrowitz, 1985) sottolineano maggiormente gli aspetti positivi, i vantaggi
che possono derivare agli individui dallo sviluppo delle nuove tecnologie e
dalla creazione di comunità virtuali. Altri studiosi (Luke, 1993; Turkle,
1995; 1996a; Johnston, 1999) vedono, invece, nella nascita di questi aggregati,
un sintomo ed una causa della decadenza del senso di comunità, e di conseguenza
portano avanti una critica serrata alla diffusione dei nuovi media di comunicazione.
Piuttosto ampia è la letteratura relativa al problema; di seguito ci
si propone di dare una lettura organica dei contributi più significativi.
McLuhan (1964) sottolinea come lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione
elettronica ha efficacemente annullato le dimensioni dello spazio e del tempo
tanto da far vivere l’umanità in una sorta di “villaggio
globale illimitato”. Boorstin (1978) afferma che la tecnologia delle comunicazioni
crea contatti ed unioni tra nazioni diverse, restringendo le differenze tra
le esperienze delle popolazioni, dando vita ad un nuovo tipo di comunità
che definisce, in una visione piuttosto utopica e idealizzata, “Repubblica
della tecnologia”.
Meyrowitz (1985) osserva invece che le comunità sono state “contagiate”
dai mezzi elettronici della comunicazione di massa, e che di conseguenza sono
anche cambiate le relazioni tra l’ubicazione delle singole persone e l’accesso
all’informazione: “come risultato, l’ubicazione fisica
delle persone ora crea solo un tipo di esperienza di gruppo, condivisa ma al
tempo stesso speciale” (pp. 143-144). Infatti, secondo Meyrowitz,
alcune categorie di persone quali donne, bambini, prigionieri, o abitanti dei
ghetti, erano in precedenza esclusi dalla gran parte delle informazioni sociali,
in quanto isolati in luoghi particolari. Grazie all’avvento dei messaggi
elettronici, tali luoghi hanno avuto la possibilità di divenire maggiormente
democratici e omogenei, permettendo alle persone che vi risiedono di condividere
esperienze ed interagire con altri, nonostante la loro collocazione fisica.
In opposizione al pensiero di Meyrowitz, Luke (1993) sostiene che lo sviluppo
e la diffusione delle nuove tecnologie ha dato vita ad una nuova classe elitaria,
costituita da coloro che hanno libero accesso alla Rete. Luke ritiene che attualmente
le comunità siano costituite da un’aggregazione di individui “atomizzati”.
Secondo l’autore, il concetto di comunità è oggi debole,
esile, a causa della divisione di interessi, della perdita di una comune consapevolezza
storica e del venir meno di valori condivisi, dovuti all’avvento delle
nuove tecnologie che hanno annullato le distanze geografiche.
A favore di questa posizione sembra essere Sherry Turkle, che in “Virtuality
and its discontents” (1996a), afferma che il trend dominante derivato
dallo sviluppo delle nuove tecnologie potrebbe essere rappresentato dalla creazione
di un’élite dell’informazione, piuttosto che dall’edificazione
di una vera comunità. Sembra che i mezzi elettronici rappresentino per
lo più luoghi nei quali rifugiarsi per fuggire dalle paure derivanti
dalla vita reale, e per supplire al senso di nostalgia che deriva dalla mancanza
di un senso di appartenenza e di comunità ormai scomparso e soppiantato
da una sorta di anonimato sociale, in quanto nell’atomizzazione post-bellica
della vita sociale americana sono sorte comunità di vicini che spesso
non si conoscono. Ritenendo che le esperienze vissute in Rete e le comunità
virtuali siano mezzi che permettono alle persone di ampliare i propri orizzonti,
coloro i quali hanno una visione ottimistica delle nuove tecnologie pensano,
secondo Turkle, che i computer capovolgeranno questa atomizzazione. L’autrice
si domanda, tuttavia, se sia opportuno pensare che il modo di rivitalizzare
il senso di comunità risieda realmente nello stare seduti soli nelle
proprie case, scrivendo al computer e riempiendo le proprie vite con le amicizie
virtuali.
A tale quesito, sembra rispondere negativamente Johnston (1999), la quale sostiene
che la creazione di comunità virtuali non può riempire il vuoto,
la mancanza del senso di comunità della società contemporanea.
La studiosa sottolinea come l’avvento di un mondo sempre più basato
sulla tecnologia abbia come conseguenza il fatto che gli individui dipendono
sempre meno dal contatto e dalla prossimità fisica, per il loro benessere
e la loro sopravvivenza: infatti, afferma l’autrice, in un mondo in cui
un semplice modem permette di essere connessi al mondo esterno, non è
più necessario andare in banca, al supermercato, o in un pub. Tuttavia,
Johnston avverte che il vantaggio di non avere più bisogno di una comunità
dotata di vicinanza fisica, può far sì che le persone dimentichino
i benefici derivanti da ciò che ora viene visto come uno svantaggio.
Ogni innovazione permette di compiere sia un passo in avanti che uno indietro,
e per l’autrice questo passo indietro è costituito dalla mancanza
di relazioni interpersonali fornite dalle comunità locali. Nel suo articolo
Johnston presenta anche il pensiero di Howard Rheingold, celebre autore del
libro “The virtual community” del 1993, nel quale descrive
la sua esperienza come membro di The WELL7,
una delle prime, più note e frequentate comunità virtuali americane.
La visione di Rheingold è molto, forse eccessivamente, ottimista, soprattutto
quando sembra sostenere che sorgono comunità in tutti i casi in cui si
disponga di tecnologie di comunicazione mediata dal computer. Johnston critica
soprattutto l’eccessivo investimento di Rheingold sul supporto ed il sostegno
che possono derivare dalla partecipazione ad una comunità virtuale. Johnston
difende strenuamente l’importanza della prossimità fisica, della
consapevolezza che supporto e sicurezza siano “proprio dietro l’angolo”,
poiché nulla, a suo parere, può sostituire la rassicurazione mentale
di una presenza vicina. La comunicazione è, senza ombra di dubbio, fondamentale
nella costruzione di solide comunità, in quanto essa è il fondamento
delle relazioni interpersonali. Tuttavia, costituisce soltanto una parte del
complesso puzzle delle relazioni umane: quindi, nonostante le nuove tecnologie
portino vantaggi e benefici, i limiti delle comunità virtuali non devono
essere sottovalutati.
Sembra che queste ultime posizioni “demonizzino” eccessivamente
i cambiamenti portati dalle nuove tecnologie, e si concentrino soprattutto sugli
aspetti negativi, forse estremizzandoli. E’ auspicabile probabilmente
una posizione intermedia fra un ingenuo ottimismo e un totale rigetto delle
nuove tecnologie, come quella espressa da Turkle a conclusione dell'articolo
"Virtuality and its discontents" (1996a). L'autrice, dopo
aver manifestato i propri timori riguardo l’eccessivo investimento di
risorse ed energie nella vita virtuale, a discapito di un’apatia dominante
nella vita reale, afferma che non si deve rifiutare totalmente la vita sullo
schermo, ma nemmeno considerarla come un’esistenza alternativa. “La
persona virtuale può essere una risorsa per un’autoriflessione
ed un’autotrasformazione” (p. 64). Le comunità create
online possono essere utili a migliorare le comunità offline.
Il viaggio all’interno del cyberspazio può divenire importante
per il mondo reale, perché aiuta a capire ciò che potrebbe o dovrebbe
essere cambiato.
1.3. Le comunità virtuali:
definizioni, caratteristiche e tipologie
È impossibile stimare quanti utenti di Internet si considerino parte
di comunità virtuali, ma innegabilmente vi sono molti individui che investono
intensi sentimenti, oltre a risorse e tempo, in Rete, partecipando a newsgroup,
chat, MUD o mailing list. Lo sviluppo e la diffusione di Internet,
con la conseguente creazione di comunità in Rete, ha dato origine a numerosi
dibattiti: ci si chiede se sia lecito definire comunità le aggregazioni
che nascono su Internet, cosa sia esattamente una comunità virtuale e
quali caratteristiche la contraddistinguano. Nel tentativo di dare una riposta
a tali quesiti si scontrano due schieramenti compatti: da una parte autori che
partecipano attivamente a comunità virtuali e sono entusiasti delle potenzialità
offerte dalla Rete, dall’altra studiosi critici e contrariati dall’idea
che a causa di un considerevole incremento della frammentazione della vita offline,
i gruppi online sostituiscano le comunità "reali" intese in
senso strettamente geografico.
Le caratteristiche maggiormente contestate alle comunità virtuali sono
la loro eccessiva omogeneità e la mancanza di impegno morale, poiché
la quasi totalità di esse è strutturata in base ad interessi comuni,
e secondo alcuni studiosi (Lockard, 1997; Healy, 1997) questo permetterebbe
alle persone di formare gruppi basati sulla similarità e la somiglianza,
a tal punto che si verificherebbe poi una tendenza alla chiusura e al settarismo.
Inoltre, poiché i partecipanti possono lasciare una comunità virtuale
con un semplice "click", secondo i critici esse non indurrebbero i
loro membri ad un aperto confronto con la diversità.
Verranno ora prese in esame le principali caratteristiche proprie di una comunità
virtuale e alcune tipologie in base alle quali tali comunità possono
essere suddivise.
1.3.1. Definizioni
Diversi autori hanno dato una definizione di comunità virtuale, a partire
da Rheingold (1993), secondo cui: ”Virtual communities are social
aggregations that emerge from the Net when enough people carry on those public
discussions long enough, with sufficient human feeling, to form webs of personal
relationships in cyberspace” (p. 28).
Per Rheingold ciò che tiene unita e caratterizza maggiormente una comunità
virtuale è la presenza di relazioni interpersonali tra i membri. La dimensione
comunicativa gioca nelle comunità online un ruolo importantissimo,
mentre è totalmente assente la dimensione spaziale. Rheingold, ricorrendo
ad un’immagine presa dalla biologia, descrive le comunità virtuali
come colonie di microrganismi che crescono spontaneamente in laboratorio, senza
che nessuno le programmi. L’autore del celebre “The virtual
community” sostiene che le comunità nel cyberspazio siano
nate in parte per un malcontento generale a causa della scomparsa di spazi pubblici
informali nella vita reale, e in parte per lo spirito pionieristico dei “Netsurfers”,
attratti dalla comunità virtuale come mezzo per interagire con altre
persone ad un livello completamente nuovo. Il concetto di comunità virtuale
non va considerato come una fantasia tecnologica e cyberpunk, in cui
le persone vivono in ciò che Mills (1959) definiva “mondi di seconda
mano”, incatenate ai loro computer, sperimentando la vita attraverso una
tecnologia deumanizzata piuttosto che attraverso contatti umani ed intimità.
Rheingold, nel suo libro, esalta con entusiasmo la propria esperienza come membro
di The WELL, e narra dei rapporti di amicizia e delle relazioni sviluppatesi
in questa comunità, nonché della profonda solidarietà che
unisce i partecipanti, e dell'assidua disponibilità di ciascuno nei confronti
dei bisogni e dei problemi degli altri membri.
Descrive così la forza dei legami che si formano all’interno delle
comunità virtuali: “People in virtual communities do just about
everything people do in real life, but we leave our bodies behind. You can’t
kiss anybody and nobody can punch you in the nose, but a lot can happen within
those boundaries. To the millions who have been drawn into it, the richness
and vitality of computer-linked cultures is attractive, even addictive”
(p. 5).
Il dibattito a proposito della validità della posizione di Rheingold
ha generato molteplici dubbi riguardo all’esistenza di comunità
virtuali e all’uso appropriato del termine. Weinrich (1997) asserisce
che l’idea di comunità virtuale è sbagliata, in quanto a
suo parere una comunità si basa essenzialmente sulla condivisione di
un territorio geografico e di una storia comune. La definizione di Rheingold
ha ricevuto diverse critiche: Watson (1997) la definisce “culturalista”,
poiché Rheingold considera la comunità come risultato di un insieme
di relazioni sociali e di interessi comuni, non più come prodotto di
uno spazio fisico comune. Quentin Jones (1997), invece, accusa la definizione
di “determinismo tecnologico” e critica l’eccessiva visione
ottimistica dell’autore, il quale sostiene che vi sia una relazione rilevante
tra la tecnologia e il comportamento umano.
Pravettoni (2002) trova la definizione di Rheingold un po’ vaga, pur riconoscendo
all’autore di “The virtual community” il merito di
aver individuato tre elementi propri di qualsiasi comunità virtuale:
Pravettoni (2002) definisce comunità virtuale “un
gruppo formato da persone che sono entrate in contatto grazie alla Rete (WWW,
canali IRC, MUD ecc.), si percepiscono parte di questo gruppo, vi partecipano
e creano rapporti di comunicazione e, a volte, relazioni interpersonali con
gli altri membri” (p. 173). Questa definizione mette in evidenza
gli elementi oggettivi sempre presenti in una comunità virtuale, ovvero
il contatto avvenuto tramite Internet, un insieme di individui, la consapevolezza
di appartenere ad un gruppo e una rete di relazioni comunicative ed interpersonali
tra i membri. Secondo Pravettoni, inoltre, è preferibile adoperare il
termine “comunità” anziché “gruppo” o
“società”, in quanto gli aggregati sociali che si sviluppano
in Internet sembrano mancare di elementi quali stabilità e solidità
strutturale, e anche perché tale vocabolo sembra più corretto
data l’importanza del senso di comunione e del fattore spaziale condiviso
che caratterizza gli ambienti virtuali. La comunione di interessi ed ideali
è spesso la ragione costitutiva delle comunità virtuali, mentre
per quanto riguarda l’elemento spaziale, s'intende uno spazio virtuale.
Richiamando il concetto di comunità di Tönnies, si nota come le
comunità virtuali abbiano caratteristiche maggiormente simili a quelle
proprie della Gesellschaft, ovvero della società: i rapporti
interpersonali non sono in esse strettamente vincolanti, e non sempre è
presente uno scopo comune.
Molto simile alla definizione data da Pravettoni, è quella fornita da
Fernback e Thompson (1995):” (…) social relationship forged
in cyberspace through repeated contact within a specified boundary or place
that is symbolically delineated by topic of interest" (p. 4). Anche
in questo caso, dunque, l’accento è posto sulla comunanza di interessi
e sulla ripetizione e la frequenza dei contatti, inizialmente avvenuti in Rete.
Ferri afferma che il valore fondante di una comunità virtuale è
costituito dall'interattività, e propone la seguente definizione: "spazi
polidirezionali e polidimensionali di interazione, discussione, formazione,
lavoro e svago, rese possibili dall'affermarsi dei media digitali"
(1999, p. 66).
E' interessante la retrospettiva storica proposta da Stone (1991), che, a partire
dalla metà del 1600 fino ad arrivare all'epoca contemporanea, individua
quattro epoche nella storia delle comunità virtuali, che ritiene punti
di passaggio per la raccolta di pratiche ed interessi comuni capaci di unire
persone fisicamente distanti.
1.3.2. Caratteristiche
Le caratteristiche indispensabili affinché si possa parlare di comunità
virtuali sono: un minimo livello di interattività, una varietà
di partecipanti, uno spazio virtuale comune "abitato" da un gruppo
significativo di partecipanti e un livello minimo di partecipazione. La presenza
di interattività permette di escludere dal concetto di comunità
virtuale tutte quelle forme di comunicazione online che non sono caratterizzate
da un'interazione diretta fra i membri. E' necessario che vi siano scambi comunicativi
fra i partecipanti, e che questi percepiscano un senso di appartenenza e coesione
coi membri della medesima comunità. E' inoltre fondamentale che ci sia
uno spazio virtuale in cui la comunità possa sorgere e svilupparsi, in
cui possano comparire i messaggi inviati dagli utenti. Nonostante sia fondamentale
la presenza di uno spazio che ospiti la comunità, questa non coincide
con esso: ciò che definisce la comunità non è tanto un
luogo, quanto piuttosto le relazioni e le interazioni fra i diversi partecipanti.
Le comunità virtuali sono inoltre caratterizzate da un sistema di regole,
che possono essere a carattere generale come quelle che riguardano il comportamento
e la buona educazione, a carattere tecnico, cioè essere inerenti all'interfaccia
usata, oppure, infine, possono riguardare più specificamente il gruppo,
ed assomigliare quindi a vere e proprie sanzioni, spesso rigide e severe. Questa
rigidità deriva frequentemente dall'eterogeneità dei membri di
una comunità virtuale: infatti, mentre in una situazione sociale offline
è possibile inferire le norme di un determinato gruppo dal contesto,
in Rete ciò è molto più complesso proprio a causa delle
differenze culturali fra gli utenti (Pravettoni, 2002). E' dunque necessario
imporre norme più rigide, per promuovere un certo conformismo rispetto
alle regole vigenti e preservare così la vita della comunità.
In una comunità virtuale spesso è presente una gerarchia: vengono
definiti ruoli e status dei membri che la costituiscono, proprio come accade
nei gruppi offline. Le peculiarità che contraddistinguono i processi
che si verificano in Rete sono: elasticità e mobilità psicosociale.
Alcuni autori (Short et al., 1976; Sproull e Kiesler, 1986) ritengono che online
lo status sia meno rilevante, poiché gli individui, non mostrando realmente
se stessi, possono scegliere quali parti di sé mostrare e quali nascondere;
di conseguenza, mancherebbero gli indizi che consentono di percepire e attribuire
lo status. Tuttavia, ciò non è totalmente esatto: generalmente
i ruoli sono ben percepiti dai partecipanti di un newsgroup. In una
comunità virtuale si possono trovare dei semplici visitatori o lurker8,
coloro che si limitano a vagare qua e là per curiosare e leggono i messaggi
senza postare nulla; i novizi, o newbie, vale a dire i nuovi arrivati;
gli utenti "stabili", che partecipano regolarmente e da tempo alla
vita di comunità e sperimentano un intenso senso di appartenenza; i leader,
cioè dei punti di riferimento all'interno del newsgroup e gli
"anziani", o oldbie, cioè gli utenti che partecipano
da più tempo alla vita di comunità. Il ruolo e lo status all'interno
delle comunità online derivano solitamente dal tempo di partecipazione
alle stesse, ma il proprio prestigio personale può accrescere o decrescere
in seguito al comportamento sociale ed al contributo apportato ai tre capitali
della comunità, che sono stati individuati da Rheingold (1993). Le gerarchie
sono comunque flessibili all'interno delle comunità virtuali e un individuo
può controllare la propria posizione e modificare il proprio status:
attraverso la partecipazione alla vita della comunità, e la propria competenza
relazionale, è possibile infatti modificare il proprio ruolo.
Secondo Rheingold (1993) gli ambienti virtuali, pur non essendo totalmente privi
di competizioni e rivalità sono generalmente percepiti come più
collaborativi e solidali e, spesso, sono vissuti come luoghi di compensazione
o di riscatto, all'interno dei quali è possibile evitare di ritrovare
e ripetere le mancanze della vita "reale". Non di rado però
anche al loro interno sorgono dei conflitti, determinati da diversi fattori.
In primis, la comunicazione in Rete è priva di indizi non verbali, e
ciò può incrementare l'errata percezione del tono dei messaggi.
Nonostante l'introduzione degli emoticon10,
è ancora facile cadere nell'incomprensione e rispondere in tono aggressivo
ad un messaggio che, pur non essendo tale nell’intenzione del mittente,
si è percepito come offensivo. In secondo luogo, l'anonimato e la distanza
fisica secondo Sproull e Kiesler (1986) permettono di assumere in Rete un comportamento
più disinibito e di manifestare maggiore aggressività. Uno dei
comportamenti aggressivi più studiati è il flame, cioè
uno scambio di insulti fra due persone che avviene in un ambiente virtuale.
Un altro tipo di conflitto è costituito invece dal sabotaggio: si tratta
di un comportamento ostile non manifesto nei confronti di un membro della comunità,
che si esprime attraverso battute pungenti, tentativi di mettere in cattiva
luce agli occhi degli altri la persona che si è scelto di colpire. In
alcuni casi si ricorre al framing che consiste nel segmentare i messaggi
di una persona ed estrarne alcune parole in modo da modificare il testo originale
del messaggio e fornire una visione ridotta dell'altro individuo. Quando invece
è l'intera comunità a mettere in atto comportamenti aggressivi
verso un membro si parla di sanzione, attuata attraverso sabotaggi latenti,
punizioni o l'espulsione dalla comunità. Spesso le sanzioni vengono applicate
in seguito all'infrazione delle regole della comunità o della netiquette.
Esistono poi degli individui, definiti troll11
o, secondo Bartle (1985), killer, che creano tensioni all'interno di
una comunità al fine di destabilizzarla, mettendo alla prova la coesione
dei membri ed il loro senso di appartenenza, infrangendo tutte le regole proprie
della comunità. Questi tipi di fenomeni fanno parte di quelle che Pravettoni
(2002) definisce "dinamiche ingroup", cioè di quelle
dinamiche che si sviluppano all'interno di una stessa comunità.
Per quanto riguarda, invece, le "dinamiche outgroup", vale a dire
l'insieme dei processi attraverso cui una certa comunità si relaziona
ad altre, si nota che online si verificano più di frequente fenomeni
di collaborazione che non di conflitto. Vi sono diversi casi di gemellaggio
e condivisione di risorse tra differenti gruppi in Rete. L'unione di più
comunità contribuisce ad arricchire i partecipanti, ad ottimizzarne le
risorse ed a facilitare lo scambio di informazioni.
1.3.3. Tipologie
E' possibile compiere una classificazione delle comunità virtuali presenti
in Rete seguendo diversi criteri.
Innanzitutto possiamo operare una distinzione "tecnica". Le comunità
virtuali vere e proprie sono costituite dai newsgroup e dai MUD. Vi
sono poi le mailing list e le chat line. I newsgroup
sono delle conferenze o bacheche elettroniche nelle quali i messaggi possono
essere semplicemente letti, senza mai spedire nulla, oppure è possibile
inviare un proprio messaggio. Il tipo di comunicazione è asincrono, ovvero
i messaggi non vengono scambiati in tempo reale fra i partecipanti. La loro
struttura portante è costituita da archivi suddivisi o identificati dal
tipo di argomento discusso, che funzionano come una bacheca.
I MUD (MOO o MUSH) sono ambienti in cui si gioca o si lavora, simulando e costruendo
qualcosa. Sono i discendenti dei giochi di ruolo ispirati al genere fantasy.
In questi ambienti i partecipanti possono costruirsi un personaggio, avente
un ruolo e delle caratteristiche ben definite, costruire ambienti o artefatti,
instaurare relazioni di collaborazione o conflitto con gli altri membri.
Una mailing list non rappresenta una vera e propria comunità
virtuale: consiste in una lista di indirizzi di posta elettronica cui vengono
inviate email relative ad uno specifico argomento. Per partecipare
ad una mailing list è necessario iscriversi e fornire il proprio
indirizzo di posta elettronica, tuttavia gli utenti di una stessa lista non
si conoscono e per lo più non si scambiano messaggi fra loro. Manca pertanto
quell'interattività che sembra essere necessaria alla costituzione di
una comunità virtuale.
Infine, le chat line consistono in scambi di messaggi scritti che risultano
essere vere e proprie "chiacchierate" in tempo reale. Sono costituite
da "stanze" tematiche in cui ci si incontra e si socializza e anche
per le chat line non sembra molto adatta la definizione di comunità
virtuali vere e proprie, in quanto gli utenti delle diverse stanze variano con
una certa facilità e rapidità.
Ferri (1999) propone una suddivisione in cinque tipologie prettamente tematica,
che si basa in particolare sugli scopi delle comunità analizzate.
Pravettoni (2002) distingue invece le comunità virtuali secondo tre tipologie: strutturate, non strutturate e a struttura mista.
Vicari (1996) effettua invece una classificazione in base alle necessità ed agli obiettivi delle comunità virtuali, individuando tre tipi di comunità:
1.4. Riflessioni sul concetto
di comunità virtuale
1.4.1. Precarietà ed omogeneità: il
punto di vista dei critici delle comunità virtuali
Alla luce della letteratura è possibile individuare alcuni punti focali
che alimentano il dibattito tra fautori e denigratori delle comunità
virtuali. Ferri (1999), riprendendo la distinzione operata da Eco, da un lato
definisce integrati i fautori delle comunità virtuali, ovvero
coloro che ne danno un'immagine positiva, dall’altro denomina apocalittici
coloro che le criticano.
Innanzitutto, ci si chiede se sia o meno opportuno attribuire a queste aggregazioni
virtuali l'appellativo di "comunità". Una delle critiche più
consistenti rivolta alle comunità virtuali riguarda la loro precarietà.
Secondo Turner (1972) una comunità virtuale può essere definita
come comunità "liminale", cioè una comunità aperta
che ha come elemento fondante proprio l'instabilità. Poiché non
ha alla base un accordo solido e stabile (Stallabrass, 1995), si caratterizzerebbe
come una forma di legame provvisorio e instabile, che è destinato a dissolversi
rapidamente. Un critico agguerrito delle comunità virtuali è Maldonado,
che nella sua opera "Critica della ragione informatica" (1997)
afferma che le comunità virtuali sono deboli e destinate alla dissoluzione,
poiché non sopravvivono all'emergere di differenze al loro interno. Infatti,
secondo l'autore, il conflitto non può essere affrontato e superato da
comunità che hanno come fondamento dei principi deboli, quali l'affinità
e la comunanza di interessi. A causa di questa incapacità di articolare
un confronto, secondo Maldonado le comunità virtuali non sono in grado
di contribuire ad un potenziamento dell'agire democratico. Egli afferma: "Le
comunità virtuali, in quanto associazioni che derivano da una libera
e spontanea confluenza di soggetti con unanimi vedute, sono comunità
con scarsa dinamica interna. Per il loro alto grado di omogeneità tendono
ad essere decisamente autoreferenziali. E non di rado si comportano come vere
e proprie sette, in cui l'esacerbazione del senso di appartenenza conduce, nei
fatti, ad escludere qualsiasi differenza di opinione tra i membri"
(p. 20).
Da queste analisi, le comunità virtuali emergono dunque come forme di
interazione debole, incapaci di avere un impatto reale sulla società.
Ferri (1999) sostiene che la "liminalità" propria delle comunità
virtuali non ne costituisce un limite, ma mette in luce piuttosto un limite
delle nostre società complesse. Egli fa riferimento a Giddens, che nella
sua opera "Le conseguenze della modernità" (1994)
espone la teoria dell'"ipermodernità" . Tale ipermodernità
avrebbe fra le sue conseguenze la tendenza alla "disaggregazione"
e allo sradicamento delle istituzioni sociali. Tutto ciò comporterebbe
una duplice forma di precarietà che corrisponderebbero allo "svuotamento
del tempo" e allo "svuotamento dello spazio", causati dall'estraniazione
progressiva degli individui all'interno dei propri contesti istituzionali.
La tipologia di rapporti che caratterizzano le comunità virtuali rispecchierebbe,
dunque, la realtà disaggregata che ci circonda, la perdita spaziale e
temporale di radicamento degli individui. Tuttavia Ferri si chiede se le comunità
virtuali non possano essere luoghi di produzione di senso, più che luoghi
di distruzione e frammentazione sociale. Lo stesso Giddens ipotizza che alla
tendenza alla "disaggregazione" si contrapponga una tendenza alla
"riaggregazione". Le comunità potrebbero rappresentare un mezzo
per una nuova forma di aggregazione sociale. Secondo Ferri "le comunità
virtuali non sono condannate alla precarietà e allo scacco, non sono
condannate da uno statuto epistemologico debole (…) ma possono configurare,
invece, un nuovo scenario sociale e comunitario" (p. 90). Le comunità
virtuali infatti offrono una risposta ad un bisogno di socialità, comunicazione
e scambio interpersonale attualmente sempre più pressante.
Un'altra critica frequentemente rivolta alle comunità virtuali riguarda
la loro eccessiva omogeneità: Stratton (1997, p. 271) addirittura sostiene
che "la mitizzazione americana di Internet come comunità rappresenta
un sogno nostalgico di una comunità che riafferma il dominio della "middle-class"
maschile e di razza bianca e dei suoi valori culturali". Alcuni critici
(Tabbi, 1997; Healy, 1997) attribuiscono il livellamento di razza, status e
classe che si sviluppa fra gli utenti delle nuove tecnologie alla volontà
di evitare la responsabilità morale nei confronti dei problemi che affliggono
la "vita reale". Le comunità "reali" richiedono qualcosa
in più di un'aggregazione volontaria di individui che hanno opinioni
e pensieri comuni.
L'affermazione di Doheny-Farina (1996): "Una comunità è
delimitata da un luogo, che include sempre necessità complesse, sociali
e ambientali. Non è qualcosa a cui si può facilmente unire. Non
è possibile iscriversi ad una comunità allo stesso modo in cui
ci s'iscrive ad una discussione di gruppo in rete. Essa deve essere vissuta.
Essa è complessa, contraddittoria e coinvolge tutti i nostri sensi"
(p. 87) esemplifica le connotazioni date dai critici alle comunità virtuali.
Altri autori (Turkle, 1996a; Johnston, 1999) ritengono che la diffusione delle
aggregazioni virtuali derivi dalla nostalgia per le comunità locali,
ormai sempre più disgregate: in Rete, si ricerca un senso di appartenenza,
uno spirito comunitario ormai limitato o scomparso all'interno delle comunità
locali, nelle quali regna sempre di più l'anonimato.
Ma è vero che le comunità virtuali sono mere sostituzioni di quelle
reali? Da alcune ricerche (Cody et al., 1997; Joe, 1997) emerge che chi nella
vita reale è isolato, sceglie di esserlo anche online, così
come coloro che offline vivono numerose relazioni interpersonali, intraprendono
numerose interazioni anche in Rete. E' quindi vero che da un lato per alcuni
individui le comunità virtuali sono vissute come portatrici di un ormai
assente o scarso senso di comunità, ma dall’altro tutto ciò
accade, nella maggior parte dei casi, senza che venga influenzata o condizionata
la vita offline. Spesso, l'appartenere ad una comunità virtuale
può offrire spunti ed intuizioni che contribuiscono a migliorare la situazione
delle comunità locali, ma non le può sostituire.
1.4.2. La comunità virtuale
secondo Lévy
Nella sua opera "Il virtuale"12
(1997), Lèvy afferma che le comunità virtuali costituiscono una
sorta di "modello" dei tratti essenziali dell'attuale vita comunitaria.
Secondo l'autore, l'introduzione dei mezzi informatici porta all'apertura di
un nuovo spazio antropologico, lo spazio del sapere, che coincide con la messa
in comune dell'immaginazione e delle conoscenze presenti nella società.
Lo spazio del sapere sarebbe uno spazio aperto della comunità virtuale
dei saperi. Al suo interno, "gli intellettuali collettivi ricostituiscono
un piano di immanenza del significato, in cui gli esseri, i segni e le cose
ritrovano una relazione dinamica di mutua partecipazione" (1996, p.
170). Lo spazio del sapere è lo spazio virtuale aperto dalle nuove tecnologie.
Lèvy concettualizza la comunità virtuale come potenziamento e
creazione di un'entità collettiva grande come il mondo. Gli individui,
all'interno della Rete, sono deterritorializzati e virtualizzati, si presentano
sulla base di interessi ed esigenze proprie, costituiscono dei gruppi associati
che mettono in atto la costituzione cooperativa di un sapere comune. Inoltre,
secondo l'autore, l'avvento delle tecnologie informatiche e la conseguente virtualizzazione
degli individui e delle loro forme di socializzazione comporta per gli esseri
umani l'apertura di una nuova dimensione antropologica e di un nuovo spazio
dell'abitare: si tratta dello spazio virtuale, che libera dal "hic et nunc".
La posizione di Lèvy si contrappone nettamente a quella di autori quali
Maldonado e Turner, poiché sottolinea gli aspetti positivi che possono
derivare dalle nuove forme di aggregazione sociale e riconosce le potenziali
opportunità che possono derivare dalla diffusione delle comunità
virtuali. Inoltre, secondo l'autore, le comunità virtuali non si propongono
"di ricreare una edenica comunità contrapposta a una società
reificata" (Ferri, 1999, p. 106), ma rappresentano la nascita di nuove
forme di relazioni comunitarie.
Ferri (1999) si domanda se il processo di virtualizzazione incrementerà
l'alienazione, l'atomizzazione, l'esclusione fortemente presenti nella società
contemporanea oppure condurrà ad un nuovo livello di coscienza collettiva.
Secondo Ferri, l'esito favorevole del processo dipende dalla capacità
di assecondare le tendenze positive dell'evoluzione che sta avvenendo, sviluppando
appieno le potenzialità delle nuove tecnologie e valorizzandole al fine
di ricreare vincoli e legami sociali basati sulla condivisione dei saperi e
di riconoscere le differenze e la loro intrinseca ricchezza, il valore del dialogo
e della diversità. Al contrario, se le comunità virtuali si avvieranno
verso il consumo dell'informazione commerciale e l'esclusione dei non connessi,
virtualizzazione diventerà sinonimo di alienazione e di isolamento.
1.4.3. Perché un individuo partecipa
ad una comunità virtuale?
Pravettoni (2002) indaga i motivi per cui gli individui decidono di partecipare
ad una comunità virtuale. Innanzitutto, sottolinea che l'istinto naturale
di ogni uomo tende alla "gruppalità" e che "in rete
tutto è instabile" in quanto: la connessione si può
improvvisamente interrompere, le identità possono essere fittizie, e
possono essere modificate a proprio piacimento, i gruppi, soprattutto nelle
stanze delle chat si formano e si riformano a seconda degli utenti presenti,
e la stessa struttura della Rete non è definita, ma si può esplorare
attraverso percorsi individuali. Proprio da questa instabilità intrinseca
alla Rete può emergere il bisogno di sentirsi parte di un gruppo, per
"esorcizzare" il senso di precarietà proprio di tale contesto
e per acquisire un senso di stabilità. Non bisogna dimenticare che nella
piramide dei bisogni proposta da Maslow (1954), il bisogno di appartenenza si
situa subito dopo i bisogni fisiologici primari ed è quindi molto importante
per gli individui.
Secondo Rheingold (1993) i motivi che inducono le persone a partecipare ad una
comunità virtuale sono primariamente connessi alle motivazioni individuali
ed al vantaggio personale. Turkle (1996a; 1996c) invece sostiene che coloro
che scelgono di parteciparvi si propongono di arricchire il proprio Sé,
e tale arricchimento prevede anche la sperimentazione dell'identità personale.
Si può quindi ritenere che le comunità virtuali rispecchino il
bisogno di socialità, intrinseco ad ogni essere umano, e non si pongano
come semplici alternative alla vita di ogni giorno. Nella maggior parte dei
casi, non costituiscono un rifugio tranquillo e sicuro in cui compensare gli
aspetti negativi della propria esistenza, ma una semplice forma di aggregazione
e di arricchimento personale, attraverso il quale conoscere nuove persone con
cui condividere i propri interessi e ampliare le proprie conoscenze riguardo
ad un argomento specifico. Inoltre non bisogna pensare alla partecipazione ad
una comunità virtuale come ad una totale fuga dalla realtà quotidiana:
infatti, "online" ed "offline" si intersecano
e una dimensione non esclude l'altra.
Tab. 1 - Il concetto di comunità
Anno | Autore | Definizione |
1887 | Tönnies | Contrapposizione tra il concetto di Gemeinschaft (comunità) è Gesellschaft (società). Nella comunità gli individui sono legati da una "volontà naturale", nella società gli individui sono legati da una "volontà razionale". |
1995 | Nancy | Non esiste alcuna comunità perduta da ricostruire. Si ha una comunità quando singolarità che non hanno la pretesa di essere divine ed eterne mettono in comune parti limitate della loro esistenza. L'essenza comunitaria è intrinseca nell'uomo e ne precede l'individualità |
1993; 1996 | Comunitarianismo (Doheny-Farina, Etzioni) | Una comunità è caratterizzata da condivisione di interessi e di valori, cure, educazione, comunicazione ed una "voce morale". |
1968 | Hillery | La comunità è costituita da un insieme di persone che interagiscono all'interno di un'area geografica e hanno uno o più legami supplementari. |
1978 | Sennett | La comunità necessita di confini precisi, all'interno dei quali si sviluppa una serie di relazioni sociali, ma ha soprattutto una componente ideologica, in quanto fa riferimento a un senso di identità e interesse comuni. |
1981 | Contessa | È necessario che vi sia uno spazio, un ambiente affinché si possa parlare di comunità. Inoltre, rivestono una notevole importanza il senso di appartenenza ad un'entità astratta e comune, e l'esistenza di un'identità unitaria di linguaggio, abitudini, stratificazione sociale. |
1995 | Fernback e Thompson | Affinché si strutturino e si organizzino relazioni sociali, è necessaria la comunicazione. |
1987 | Van Vliet e Burges | In una comunità sono presenti l'interazione sociale,
un sistema di valori e un sistema di simboli condivisi.
|
Tab. 2 - L'avvento delle nuove tecnologie e il concetto di comunità
Anno | Autore | Definizione |
1964 | Mc Luhan | Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha annullato in modo efficace le dimensioni dello spazio e del tempo, tanto da far vivere l'umanità in una sorta di "villaggio globale illimitato". |
1978 | Boorstin | La tecnologia delle comunicazioni crea contatti tra nazioni diverse, restringe le differenze tra le esperienze delle popolazioni, dando vita alla "Repubblica della tecnologia". |
1985 | Meyrovitz | L'avvento delle nuove tecnologie permette l'accesso alle informazioni sociali anche a categorie di persone prima emarginate o isolate: la collocazione fisica non è più un limite per la condivisione di esperienze e l'interazione con gli altri. |
1993 | Luke | L'avvento delle nuove tecnologie favorisce lo sviluppo di una nuova classe elitaria, costituita da coloro che possono più facilmente e liberamente accedere alla Rete. L'annullamento delle distanze geografiche ha causato la perdita di una comune consapevolezza storica, il venir meno di valori condivisi e, di conseguenza, un indebolimento del concetto di comunità. |
1996 | Tuckle | Lo sviluppo delle nuove tecnologie non dà vita ad una vera comunità, bensì ad un'élite dell'informazione. I mezzi elettronici di comunicazione rappresentano una "fuga" dalle paure della vita reale. Non bisogna, tuttavia, rifiutare totalmente la "vita virtuale", poiché creare comunità online può servire a migliorare le comunità offline, ma non bisogna neppure considerarla come un'esistenza alternativa |
1999 | Johnston | La creazione di comunità virtuali non può sopperire alla mancanza del senso di comunità proprio della società contemporanea. È fondamentale la prossimità fisica, la consapevolezza che vi sia una presenza vicina che possa offrire supporto e sicurezza. |
Tab. 3 - Concetto do comunità virtuale
Anno | Autore | Definizione |
1993 | Rheingold | "Social aggregations that emerge from the
Net when enough people carry on those public discussions long enough, with
sufficient human feeling, to form webs of personal relationship in cyberspace"
(p. 28). Caratteristiche principali:
|
2002 | Pravettoni | "Un gruppo formato da persone che sono entrate
in contatto grazie alla Rete (…), si percepiscono parte di questo
gruppo, vi partecipano e creano rapporti di comunicazione e, a volte, relazioni
interpersonali con gli altri membri" (p. 173). Caratteristiche principali:
|
1995 | Fernback e Thompson | "Social relationship forged in cyberspace
through repeated contact within a specified boundary or place that is symbolically
delineated by topic of interest" (p. 4). Caratteristiche principali:
|
1991 | Stone | La storia delle comunità virtuali è caratterizzata da quattro epoche:
|